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The Guilty recensione] - "911, qual è l'emergenza?". L'ufficiale della polizia di Los Angeles Joe Baylor (Jake Gyllenhall), visibilmente stressato per i serrati ritmi lavorativi, risponde alle chiamate di emergenza dalla sua postazione del call center del 911, in attesa di finire il lungo turno notturno. Sembra una nottata di lavoro come un'altra, fatta eccezione per gli incendi che stanno divampando sulle colline di Hollywood e per la telefonata sopraggiunta dieci minuti prima di smontare: si tratta di Emily Lighton (Riley Keough), una donna che, bisbigliando e piangendo, gli dice di essere stata rapita e gli chiede di aiutarla. Le certezze dell'uomo, già messe a dura prova da una storia privata compromessa, iniziano inesorabilmente a sgretolarsi, mentre i fantasmi del passato tornano a tormentarlo. The guilty, sebbene si presenti come un thriller ben confezionato e con la giusta dose di adrenalina, non convince fino in fondo. L'accoppiata Antoine Fuqua/Jake Gyllenhall, che aveva funzionato egregiamente nel 2015 con la pellicola Southpaw – L'ultima sfida (diretto e prodotto sempre dal regista statunitense), stavolta risulta un po' sottotono, probabilmente per motivi contingenti che esulano dalla bravura di entrambi; primo fra tutti, sicuramente il fatto che The guilty non sia una produzione originale, bensì un remake dell'omonimo film danese diretto da Gustav Möller, al suo debutto come regista. Che si voglia o meno, il confronto fra le due pellicole è inevitabile, e fa scivolare la produzione statunitense nel dimenticatoio dei remake di cui non si sentiva il bisogno. Eppure sembra proprio che Gyllenhall, fortemente attratto dalla pellicola danese, abbia voluto acquistarne i diritti a tutti i costi, senza valutare i rischi di produrre un remake superfluo e che poco aggiunge all'originale. Fuqua, dal canto suo, forse conscio di doversi confrontare con una pellicola che aveva trionfato fra il pubblico e la critica – la commissione preposta lo aveva selezionato come candidato danese per l'Oscar al miglior film in lingua straniere nel 2019 – ha
attuato degli impercettibili ma funzionali espedienti per distaccarsi un po' dall'originale e apportare un senso di dinamicità, come i continui cambi di inquadratura che tagliano il piano sequenza, rendendo il ritmo ancora più incalzante. La scelta di inquadrare il viso del protagonista da distanze ravvicinate, invece, risulta la stessa attuata da Gustav Möller, quasi a voler sottolineare un senso di claustrofobia già ampiamente causato dal fatto che tutto il film si svolga all'interno di un unico e asettico ambiente. I dialoghi fra il protagonista e i personaggi che vi ruotano attorno, che avvengono esclusivamente al telefono – fatta eccezione per un paio di comparse – risultano incalzanti (meglio ancora se ascoltati in lingua originale), e talvolta caratterizzati da un linguaggio scurrile che sottolinea lo stato mentale compromesso di Joe. I punti di forza, senza ombra di dubbio, riguardano la scelta del cast, con un Gyllenhall in ottima forma e che rievoca le sue ottime performance attoriali degli ultimi anni (Animali notturni, Lo sciacallo), e il colpo di scena a circa metà pellicola che, sebbene abbastanza "telefonato", fa il suo dovere. Nel complesso, dunque, un film che risulta godibile e che si lascia guardare in una serata in cui Netflix non ha altro da proporre.
(La recensione del film "
The Guilty" è di
Giulia Mariani)
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