La recensione del film The Grandmaster

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THE GRANDMASTER - RECENSIONE

The Grandmaster recensione
Recensione

di Elisa Lorenzini
[The Grandmaster recensione] - Il tormento e l'estasi. La sintesi grafica e poetica di The Grandmaster, opera della piena maturità di Wong Kar-Wai, è una dicotomia lacerante tra la sofferenza e l'ambizione, tra lo struggimento della rinuncia e il piacere masochistico del sacrificio. Dopo aver meditato un decennio sulla forma da dare alla sua personale teoria delle arti marziali e alla sua visione mitologica di Ip Man, Gran Maestro di kung fu e futuro mentore di Bruce Lee, Wong Kar-Wai è approdato ad un film che è insieme l'apologia e il canto del cigno di una cultura: quella del combattente secondo il pensiero orientale. Disegnando una trama fanta-storica che attinge alle pagine (vere) della guerra cino-giapponese degli anni Trenta e le mescola al racconto romanzato di Ip Man e della rivale-amante Gong Er, il "Quentin Tarantino cinese" ricongiunge l'individuale con il generale, la parabola della leggenda-uomo che ha ispirato generazioni di atleti e l'arco discendente di una nazione e di un popolo al cospetto di un passaggio epocale. Nell'affresco di Wong Kar-Wai, arricchito dalle buone prove di Tony Leung e di Ziyi Zhang, il kung fu si eleva dalla semplice condizione di arte marziale e diventa filosofia di vita, ideologia, etica privata. Nel ripetuto incontro-scontro tra i due protagonisti, legati da una doppia spirale di odio e di amore inconfessato, il regista di Hong Kong celebra la sua personale visione dei rapporti tra esseri umani, governati da forze attrattivo-repulsive che li condannano ad una sofferta incompiutezza. Allo stesso tempo, la bellezza coreografica del combattimento svolto all'apice della passione è un tributo alla tenacia e all'impegno strenuo di chi, anche nella propria irriducibile imperfezione, cerca di darsi un significato e un obiettivo. The Grandmaster è un film etereo e corposo insieme: la sua sostanza è quell'estetismo raffinato, a volte pedante, che impregna i gesti e stilizza le parole. Il limite di questa costruzione impressionistica, che valorizza più la suggestione indotta nello spettatore che la trama vera e propria, è una certa legnosità dei personaggi, la loro scarsa permeabilità alle comuni leggi del vivere quotidiano: quelle che rendono i film vicini al nostro immaginario. Difetti narrativi a parte, Wong Kar-Wai ci consegna un'opera di grande impatto visivo: una partitura immaginifica che si svolge a macchia d'olio, senza una continuità razionale, sfidando i precetti occidentali di spazio e tempo con una grazia che non lascia indifferenti. (La recensione del film "The Grandmaster" è di Elisa Lorenzini)
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