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The Grand Budapest Hotel recensione] - The Grand Budapest Hotel, nuova opera di Wes Anderson, ha aperto la 64ª edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, dove ha vinto il Gran premio della giuria.
Il film, ambientato nell'immaginaria Repubblica di Zubrowka, è abilmente costruito con un incastro di storie che si dipanano cronologicamente nell'arco di cinquant'anni: uno scrittore racconta come il suo romanzo sia nato dall'incontro con Zero Moustafà, proprietario del Grand Budapest Hotel, un albergo ormai fatiscente, ma con un glorioso passato. Zero, durante una lunga cena, gli racconta la sua incredibile storia che lo ha portato a diventare il proprietario dell'hotel: il suo arrivo al Grand Budapest Hotel, quando era solo un lobby boy; il suo incontro con il concierge Monsieur Gustave (Ralph Fiennes) che si prese cura di lui, amandolo ed educandolo come un figlio; la morte della ricca Madame D., un'anziana signora con la quale M. Gustave aveva un rapporto speciale, e che gli lasciò in eredità un prezioso quadro; le rocambolesche vicende che videro Zero e M. Gustave coinvolti nella lotta con gli altri eredi della defunta per entrare in possesso dell'enorme patrimonio di famiglia.
Wes Anderson è un regista difficile da etichettare per le caratteristiche del suo cinema: commistione di generi, piacere del grottesco e del surreale, ritmo incalzante, scelte musicali originali, uso di colori sfavillanti, scelte di inquadrature e di montaggio ispirate al mondo dei fumetti e dei cartoni, racconto scandito formalmente in capitoli e parti…il tutto condito da una buona dose d'ironia.
La cifra stilistica andersoniana, in quest'ultima opera dal cast stellare, emerge prepotentemente sin dalla prima inquadratura, trasportando lo spettatore in un mondo variopinto, popolato da eccentrici personaggi che affollano la scena, ma ciascuno rimanendo al proprio posto, senza essere mai di troppo.
C'è chi sostiene che Anderson faccia film sempre uguali e lo accusa di essere un autore noioso e ripetitivo. Noi pensiamo invece che, sebbene tratti temi ricorrenti e il suo stile sia immediatamente riconoscibile, ogni sua opera sia diversa. "Rushmore", "I Tenenbaum", " Moonrise Kingdom", tanto per citare alcuni dei suoi film, raccontano storie apparentemente banali, ma lo fanno con uno stile talmente originale e frizzante da renderli unici nel loro genere.
The Grand Budapest Hotel è un film nostalgico, sia per le ambientazioni che richiamano atmosfere squisitamente vintage (fondali dipinti, scenografie dai colori pastello, determinate scelte registiche), sia perché vuol essere un omaggio a grandi autori del passato quali Lubitsch, Chaplin e Wilder.
E' una storia senza tempo d'amore e d'amicizia. Una commedia, ma al contempo un giallo.
Un film all'altezza delle aspettative, che conferma ancora una volta il talento del regista texano.
Anderson è come un caleidoscopio e guardare la realtà attraverso i suoi occhi è un'esperienza stupefacente: quello che alla nostra vista appare semplice e banale, attraverso la sua prende le sembianze di un carosello di storie, colori e forme tale che tutto, anche le vicende e i panorami più consueti, ci risultano nuovi ed emozionanti. Impossibile non ridere, commuoversi ed esaltarsi.
(La recensione del film "
The Grand Budapest Hotel" è di
Sara Medi)
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