di R. Gaudiano
[
The Bra recensione] - Sotto le maestose montagne del Caucaso i binari di un treno merci attraversano la vita di un piccolo villaggio. Su quelle rotaie la gente del luogo vive il quotidiano. Gli uomini bevono il tè seduti ai tavolini, le donne stendono i panni su fili sospesi sopra il tracciato ferroviario ed i bambini si divertono a fare gli equilibristi. Quando il treno passa, gli abitanti si alzano, raccolgono frettolosamente i loro oggetti, scappano nelle case e tutto ciò che resta viene intercettato dalla carrozza guidata da Nurlan, il macchinista di questo treno favolistico che annuncia la sua corsa con un potente fischio. Nurlan, a fine giornata, raccoglie gli oggetti rimasti attaccati al treno e li riporta ai loro legittimi proprietari: lenzuola, palloni, piume di pollo, ecc. L'ultimo giorno di lavoro, Nurlan trova attaccato al tergicristallo del treno un oggetto inusuale, un reggipetto. Certo è che l'oggetto trovato è veramente fuori dal comune, ma l'uomo lo porta con sé nella sua casa sulle montagne, dove vive in grande solitudine. Arriva il giorno della pensione e per Nurlan vuol dire anche lasciare la guida del suo treno al suo assistente Kamal. Ma quel reggipetto non lo fa dormire la notte, così decide di restituirlo alla proprietaria. Nel suo rocambolesco cercare, non mancheranno situazioni buffe e allo stesso tempo deliziose. Diretto dal pluripremiato cineasta tedesco Veit Helmer, che ha riscosso ben più di 180 premi con i suoi film, "The Bra", suo sesto lungometraggio, girato nel piccolo quartiere Shanghai di Baku, è un affresco di cinema muto, in cui variopinti colori pastello regalano un'immagine che ritaglia una porzione di realtà surreale definita da un'inquadratura perfetta. Il silenzio delle scene è interrotto solo da sonore risate, dal fischio assordante del treno in arrivo preceduto dal suono incalzante di un fischietto emesso dal fiato di un bambino che corre sui binari per avvertire tutti dell'arrivo istantaneo del mezzo, perché possano mettersi in salvo con tutte le loro cose. Nella spasmodica ricerca della proprietaria del reggipetto, gli occhi dolci di Nurlan scrutano i seni delle belle donne a cui porge l'indumento. Ma la ricerca è sterile e l'uomo finirà preda di un'inconsolabile angoscia esistenziale. "The bra" è prima di tutto un bellissimo dialogo con le immagini proiettate sullo schermo, punto di fuga dell'immaginario. Ed è qui che lo spettatore si identifica con l'amarezza della favola, in un gioco colorato fatto di sguardi dei personaggi che strutturano la singolare rete narrativa. Helmer riesce a creare la compostezza espressiva semplicemente attraverso le dinamiche che si stabiliscono tra quei codici muti, inverosimili, che la mdp gestisce sapientemente rispetto all'articolarsi delle scene e dei fatti. La musica di Cyril Moren supporta tutto il contesto narrativo in emozioni sopraffine. Un affresco di vita del quartiere Shanghai nell'antichissimo Caucaso, reso magicamente da un ottimo montaggio di Vincent Assmann. Il teatro della storia fantastica, è il piccolo paese, dunque, avvolto nell'atmosfera surreale di panni colorati stesi al sole, con la gente che gioca a dama sulle rotaie e le signore, con vestiti e pettinature vintage, rincorse dalla speranza di un uomo, come possibili proprietarie del reggipetto. Il reggipetto alla fine è il feticcio che nutre un'unica speranza, trovare un amore consolabile, che riesca a fugare una maledetta solitudine. Miki Manojlovic, il macchinista solitario, con le aspiranti proprietarie del reggipetto, Paz Vega, Maia Morgenstein e Chulpan Khamatova verbalizzano la scena con lo sguardo e la mimica del volto, straordinaria nel Kamal cui Denis Lavant dà la maschera. Ma alla fine, cosa succederà alla solitudine?
(La recensione del film "
The Bra" è di
Rosalinda Gaudiano)
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