La recensione del film The Beatles Eight Days a Week

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THE BEATLES: EIGHT DAYS A WEEK - RECENSIONE

The Beatles Eight Days a Week recensione
Recensione

di R. Baldassarre
[The Beatles Eight Days a Week recensione] - La visione del documentario The Beatles – Eight Days a Week e il nome di Ron Howard, fanno pensare che un titolo giocosamente alternativo poteva essere Happy Days. Dopo tutto, per i Fab 4 sono stati veramente giorni felici (in superficie) che hanno riempito una decade fitta di onori e soldi. Prodotto – e strenuamente voluto – dalla Apple (che detiene i diritti di tutto il catalogo audio/visuale del gruppo), e avallato dai due superstiti (Paul McCartney e Ringo Starr) e dai familiari dei due deceduti (John Lennon e George Harrison), The Beatles – Eight Days a Week è un documentario monumento sulla più importante band Pop/Rock del Novecento. Un documento visivo composto da differente materiale d'archivio, soprattutto reperito attraverso la moltitudine dei fans sparsi per il mondo, e da alcune interviste realizzate appositamente. Le immagini granulose, spesse volte instabili e sfocate, non intaccano, però, la lucentezza dei Fab 4, che a distanza di oltre cinquant'anni continuano a stupire e ammaliare. La sopraffina pulizia audio, effettuata su tutto il materiale rinvenuto, ridona la forza musicale – e iconoclasta – del quartetto britannico, senza "rovinare" il sapore segnatamente nostalgico della qualità dei video proposti. Detto ciò, Eight Days a Week non vuole essere un preciso e approfondito documentario che racconta con dovizia di particolari tutta la folgorante carriera del gruppo. E nemmeno narrare gli aspetti bui e negativi del quartetto (dopotutto è un documentario autorizzato, quindi la Apple e le famiglie vogliono evitare gli scandali). Il punto focale impresso al documentario è quello di voler mostrare la forza dirompente della Beatlesmania attraverso lacerti video degli infiniti live del gruppo, che dalle piccole cantine di Liverpool arrivarono (prima volta nella storia della musica) a suonare nei mastodontici stadi yankees. Un accorpamento di materiale (dal) vivo che, miscelato, diviene un vorticoso "tour" che porta gli spettatori – odierni – ad assistere a cosa sono stati i Beatles nella cultura e nella società mondiale. E questa scelta di mostrarli solo (a)live o visti attraverso i media di allora (compresi i Super 8 dei fans), fa si che le sessioni di registrazioni vengono solamente accennate, attraverso foto fisse e con le voci del quartetto in sottofondo. Infatti il documentario si stoppa – visivamente – al 1966, anno in cui il quartetto smise di fare concerti e si rinchiuse nelle sale di incisione per sfornare i loro album più stratificati. Come scritto all'inizio, dalla mole delle immagini traspare che sono stati giorni felici (Happy Days), come confermano anche McCartney e Starr (e attraverso le immagini di repertorio Lennon e Harrison). Ma sono stati giorni felici – e indelebili – anche per chi ha assistito a quei concerti. Il variegato stuolo di intervistati ricorda con nostalgia, come se fosse un posto delle fragole della lontanissima adolescenza, il loro primo contatto con il quartetto britannico. E nei loro diversi racconti, le loro pupille hanno un alone di lacrimuccia. Eppure in tutta questa fantasticheria audiovisiva… Lo splendore che emana il documentario di Ron Howard, è fatto di luce riflessa, e cioè il luccichio viene propagato dal fascino immortale del quartetto e dai loro filmati. E, a distanza di cinquant'anni, esplodono ancora come bombe, gli spezzoni dei film che i Beatles hanno girato con Richard Lester. Il documentario, alla fine, risulta essere soltanto un'iniziativa commemorativa (e di sfruttamento economico). Un operazione che ricorda quella realizzata dalla stessa Apple nel 2000, quando fece uscire l'album 1 (One), che raccoglieva tutte le canzoni dei Beatles che arrivarono prime in classifica. Quello che manca a The Beatles – Eight Days a Week è una vera anima registica, che sapesse dare profondo movimento ed emozione alla mole di materiale accorpato. Inevitabile il confronto con George Harrison: Living in the Material World di Martin Scorsese, che seppure non era un preciso biopic sui Beatles, era un'opera che sapeva amalgamare il differente materiale scelto. Ron Howard aveva già realizzato un documentario musicale, Made in America, con protagonista il rapper Jay-Z. Lì lavorava sul presente, quindi con possibilità di plasmare le argomentazioni, mentre con Eight Days a Week è costretto a seguire un determinato percorso. Però, uno strano parallelismo avvicina l'ex Richie Cunningham con i Fab 4. Come i Beatles, anche Ron Howard ha iniziato il suo lavoro autoriale con carine opere di facile consumo (e di ottimi incassi), per poi, lentamente, cercare una sua maturazione tecnica stratificata, come mostrano le sue ultime opere. (La recensione del film "The Beatles Eight Days a Week" è di Roberto Baldassarre)
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