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T2 Trainspotting recensione] - Che cosa sono 20 anni? Questa la domanda che guida Danny Boyle in Trainspotting 2. Non tanto fare un vero e proprio sequel, non certo trarre un film da Porno, trascurabile seguito letterario firmato da Irvine Welsh, a cui T2 liberamente si ispira. Ma ragionare sul tempo che passa o meglio mostrarlo con la sola evidenza delle immagini, una accostata all'altra, e da lì lasciarsi andare ai pensieri, alle suggestioni, alle malinconie. T2 avrebbe potuto essere una riuscita operazione concettuale, un'opera sperimentale di video arte sul senso del tempo, sul peso di una vita. Perchè 20 anni sono una vita. Perchè sono 20 anni esatti da quando Mark Renton è fuggito con una borsa contenente 16 mila sterline rubate ai suoi tre amici. Li ritroviamo tutti: Spud, Sick Boy, Begbie e ovviamente Mark. E con loro ci sono anche gli attori, gli stessi, ingrassati, con più rughe e meno capelli. 20 anni in un secondo. McGregor prima e McGregor adesso. Carlyle prima e Carlyle adesso. Com'è il bilancio? Impietoso? Accettabile? Positivo? Ma attenzione perchè 20 anni passano per tutti e insieme ai personaggi e agli attori ci siamo anche noi. Guardiamo T2 e ci guardiamo allo specchio. Come eravamo 20 anni fa? Cosa facevamo, cosa pensavamo e cosa abbiamo fatto nel frattempo? Com'è il bilancio? Domanda da far tremare i polsi che Trainspotting 2 pone non troppo indirettamente. Solo il cinema se lo può permettere, solo il cinema, tra tutte le forme artistiche, possiede la forza per sbatterti in faccia certe evidenze. Certo, non è facile. Trainspotting è tra i rari film che si possono definire "epocali" e sappiamo che mettere le mani su un film "epocale"è rischiosissimo. Danny Boyle stava riuscendo nell'impresa se ad un certo punto non avesse ceduto alla tentazione del racconto, non avesse ceduto alla vanità e alla presunzione, non avesse ceduto alla tentazione di rifare Trainspotting. E la tentazione gli è stata fatale perchè non era quella l'intenzione. Così finisce per pasticciare con la sceneggiatura, finisce col perdersi nelle diverse linee narrative dei vari personaggi di cui non interessa a nessuno, dà vita ad un plot che procede a singhiozzi, pieno di partenze e ritorni, pieno di fughe tra passato, trapassato e presente, pieno di slanci e brusche frenate senza mai cogliere il colpo di pedale giusto, da un lato consapevole che Trainspotting rimarrà un'esperienza irripetibile per cui è un suicidio tentare di replicarla ma allo stesso tempo incapace di resistere al desiderio di dimostrare di esserne capace, di ribadire che quella libertà espressiva, quella vena creativa, quella forza eversiva, nonostante la tanta acqua sotto i ponti, il successo, gli oscar e l'imborghesimento, non sono morte e sepolte. E invece lo sono. Così nel confronto con l'originale, inevitabilmente impietoso, c'è forse una sincera ammissione di resa che, come Renton che torna a casa, nella stessa cameretta con le locomotive sulla carta da parati, è anche un fare pace con i propri fantasmi.
(La recensione del film "
T2 Trainspotting" è di
Mirko Nottoli)
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