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IERI OGGI E...

SUSSURRI E GRIDA
di Ingmar Bergman

di Francesca Lenzi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
Il rintocco degli orologi scandisce un tempo insensato, sospeso nell'immobilità dello spazio. I periodi sono istanti bloccati, momenti ripetuti ciclicamente, come un ottuso carillon rotto. Presente e passato acquisiscono un nuovo senso, in ragione del principio animistico che governa un flusso irreale, intima espressione dell'essere. Inizi del '900, Stoccolma. Agnese, vicina alla morte, è circondata dalla presenza di Anna, la governante, e delle sorelle, Maria e Karin. Il lento e feroce decorso della malattia rivela una palpabile emanazione del dolore, concepito come elemento guida all'interno del racconto; la sofferenza non si riferisce solo al tormento fisico di Agnese, ma invade, più subdolamente, le figure delle altre donne. Sussurri e Grida costituisce uno dei vertici della filmografia di Ingmar Bergman, un'opera spietata, uno sguardo lucido sull'umano, rappresentato come una creatura, al tempo stesso, fragile e crudele, innocente e colpevole, limpida e straziata. Se Agnese raffigura l'individuo maggiormente debilitato, afflitto da un'inesorabile patologia, incensa però il proprio martirio di una quiete d'animo sorprendente, ottenendo di riconoscere nei semplici gesti, nelle circostanze elementari, la pace interiore. All'opposto, le tre donne che le sono vicino, mostrano l'inconsistenza di una forza che, in verità, non possiedono. Maria, bella e luminosa, nasconde un vuoto inquietante, restando indifferente alla pena del marito e al crudo giudizio dell'amante, vincendo le resistenze della sorella, per poi abbandonarla ad una solitudine più intensa e drammatica. Karin, dietro la maschera di austerità e freddezza, scopre un'instabilità disarmante;è riluttante al contatto, introversa sino al mutismo, disperata tanto da ferire il proprio corpo, masturbandosi con un pezzo di vetro, quale estremo tentativo di invocare un soccorso non previsto. Anna, l'unica davvero affezionata ad Agnese, riesce a instaurare con lei un legame tenace, quasi materno, arrivando ad offrirle il florido seno (in una delle sequenze più liriche), attraverso uno scambio di ruoli, dalla figlia avida dell'amore materno, alla genitrice, spogliata del sentimento dalla morte della propria bambina. Sussurri e Grida sono i due aspetti del dolore, ora contestato dal silenzio, ora urlato tra gli spasmi, ora lasciato intendere da uno sguardo arcano, ora schiaffeggiato con un bicchiere infranto. Il film di Bergman possiede un respiro pittorico, pervaso tutto da una straordinaria incidenza visiva che ne traccia lineamenti e carattere, apparenze ed emozioni. L'uso del colore non è mai stato così pertinente, per mezzo di tre tonalità principali: bianco, nero e rosso. Il bianco della verginità e dell'innocenza, è affidato alle vesti delle donne e alle lenzuola della malata; ma se Agnese ne mantiene costantemente la nitidezza, Maria e Karin sostituiscono in seguito il candore con vesti di tinte più scure, allegoria dei segreti venuti alla luce. Il nero rappresenta il lutto, la morte, e trova la massima evidenza nel buio della notte in cui Agnese sta male, e nello scheletro del letto. Il rosso, infine, cromatismo per eccellenza, inonda gli ambienti: pareti, poltrone, sedie, tende, coperte; il rosso, che per l'autore svedese comunica l'interno dell'anima. Colori accesi, vigorosi, definitivi, tali da trasmettere passione, impeto, partecipazione e angoscia, suggestioni apparentemente escluse alla superficiale vista degli allestimenti rigorosi e disciplinati, in spazi ritmati dalla freddezza e dal controllo. Numerosi sono poi i riferimenti che si possono stabilire tra una scena e un quadro, tra un'immagine e un dipinto. La scena iniziale, nella quale Maria è colta nel sonno, ricorda l'atteggiamento composto e sereno del defunto Marat di Jacques Louis David. Gli splendidi paesaggi catturati dalla macchina da presa richiamano i lugubri panorami del romantico Caspar David Friedrich, abile esecutore di impressioni emotive, attraverso scenari offuscati dalla nebbia e dalla decadenza. Le figure delle donne rispondono alla mano di Jean-Auguste-Dominique Ingres, attento a riprodurre le morbide forme e la vellutata pelle; Karin è presa nuda, alle spalle, come nel Bagno Turco e nella Bagnante di Valpiçon; ma è soprattutto Anna ad assecondare la lieve pennellata dell'artista francese, geniale interprete della bellezza femminile; la governante rimanda anche ai floridi profili della Lattaia di Johannes Vermeer e ai tratti sinceri ed esuberanti delle contadine di Honoré Daumier. Riguardo, invece, al colore preminente, il rosso, lo si ritrova in diversi pittori: La Stanza Rossa di Henri Matisse sembra il bozzetto preparato per il film, tanto simile si rivela il risultato tonale. Van Gogh dipinge di rosso le pareti del suo Caffè di Notte, donando un forte contrasto con l'illuminazione circostante. La Lotta di Giacobbe con l'angelo, di Paul Gauguin è forse il quadro più vicino all'espressività della pellicola: il campo di combattimento è rosso fuoco, mentre le donne bretoni in primo piano, presentano copricapi bianchi e abiti neri, condensando in un'unica immagine la triade cromatica di Bergman. E per concludere, sarà un piacere immenso rileggere il dialogo tra il dottore e Maria, vetta inarrivabile di comunicazione linguistica, ulteriore prova di eccellenza per un'opera che ritrae uno dei capolavori irrinunciabili della cinematografia mondiale: "Vieni qui, Maria, vieni. Guardati allo specchio. Sei bella. Sei forse anche più bella di allora; ma sei tanto cambiata. Vorrei che vedessi quanto sei cambiata. I tuoi occhi hanno sguardi rapidi e sfuggenti. Un tempo guardavi tutto e tutti apertamente, senza crearti una maschera. La tua bocca ha assunto un'espressione insoddisfatta, famelica; prima era così dolce. Il tuo viso è pallido, la pelle incolore; sei costretta a truccarti. La tua bella fronte, alta e spaziosa, ha quattro rughe sopra ogni sopracciglio. Non riesci a vederle con questa luce, ma risaltano chiare di giorno. Lo sai da dove ti vengono queste rughe?" "No" "Dalla tua indifferenza, Maria. E questa lieve curva, che va dall'orecchio alla punta del mento, non è nitida come un tempo. Questo significa che sei superficiale e indolente. E lì, alla radice del naso, ora c'è tanto sarcasmo. Maria, riesci a vederlo? Ce'è troppo sarcasmo, troppo scherno. E sotto ai tuoi occhi inquieti, mille rughe impietose, secche, quasi inavvertibili, di noia e di impazienza" " Sul serio vedi queste cose sul mio viso?" " No, ma le vedo ogni volta che mi baci" "E ogni volta che rispondi ai miei baci, io so dove le vedi" "Sì, le vedo su di te" "Le vedi in te stesso, perché noi siamo uguali".


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