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Sulla mia pelle recensione] - La pelle lacerata, tumefatta, colpita con cieca violenza non è più quella di Alessandro Borghi. Da quella corazza ormai fragile di scafandro, l'anima che vola via leggera e impaurita come una farfalla è quella di Stefano Cucchi. È da quel 22 ottobre 2009, giorno in cui il giovane spirò su un letto in custodia cautelare che la giustizia viene ricercata in un labirinto di aule e tribunali senza via di uscita. Un labirinto fatto di menzogne, dissimulazioni, occultamenti di verità nascoste e sottaciute. Il coraggioso film di Alessio Cremonini non vuole arrogarsi il diritto di giudicare, quanto scuotere l'opinione pubblica su un caso oggi più che mai meritevole di essere (ri)conosciuto data la sua violenza inconcepibile e del tutto innecessaria. Viviamo in un periodo storico in cui chi dovrebbe proteggerci si ritrova tra le mani la possibile autorizzazione a sfruttare il proprio potere a colpi di manganello. "Sulla mia pelle" diviene dunque un film quanto mai necessario per fermare tale fenomeno di odio dilagante e di fumus persecutionis prima che esso dilaghi su altri schermi e altri tribunali. Per un pubblico dallo sguardo sempre più rivolto verso uno schermo dalle mille dimensioni, e da esso ipnotizzato, il cinema si è ritrovato sempre più investito di ruolo sociale. Se non è un'aula di tribunale a farsi giusta portavoce di Stefano, che sia un prodotto cinematografico, distribuito perlopiù su Netflix, ad abbracciare l'esatta versione della storia, cullarla, calmarla e ridarla sullo schermo scevra di facile retorica. "Sulla mia pelle" è un film giocato sulla sottrazione. È un film sospirato, sussurrato, ansimato, proprio come ansimante è lo Stefano di Alessandro Borghi. Niente teatralismi. Niente urla. Perfino le botte inflitte dai poliziotti sul corpo di Cucchi vengono relegate nel buio del fuori campo; sono pugni laceranti, che mettono KO, il cui dolore provocato è ancora più insopportabile perché acuito dalla mente dello spettatore al quale viene richiesto di colmare tale mancanza visiva con la forza della propria immaginazione. La regia di Cremonini è alquanto elementare. Non si avvalora – e forse neanche vuole avvalorarsi – di estri artistici. Il giovane cineasta lascia parlare le immagini e gli sguardi intensi, profondi dei propri protagonisti. Non si respira mai, neanche lontanamente, il desiderio di lucrare su un fatto di cronaca. A fondare le solide basi realizzative di "Sulla mia pelle" è la voglia di riconsegnare un senso di umanità a un ragazzo divenuto simulacro delle conseguenze di un'animalità barbara e disumana, il cui sprigionarsi con tanta veemenza rimane ancora, nove anni dopo, del tutto insensato e inconcepibile. Echeggiano forte, anche qui, le affermazioni di Giovanni Moro, figlio di Aldo, in occasione dell'uscita di "Buongiorno, notte" di Marco Bellocchio al cinema: «la creazione artistica è stata capace, proprio restando tale, di accrescere la conoscenza della realtà». Con Cremonini, così come per Bellocchio, l'arte diventa vita; vita disperata, vita vissuta, vita rubata. Ad avvolgere la pellicola un silenzio rispettoso, commosso, che rende omaggio a Stefano. Silenzio di quella tanto sfatata – e poco applicata – fas est, catturata per sempre nell'occhio gonfio del protagonista, mentre una lacrima riverbera nei suoi riflessi i dolori e i lividi che hanno coperto il suo corpo e segnato la sua pelle.
(La recensione del film "
Sulla mia pelle" è di
Elisa Torsiello)
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