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Suburbicon recensione] - Quando siamo piccoli, la nostra fantasia galoppa libera per campi inesplorati; ciò vuol dire che una scopa può diventare un cavallo, una penna una spada, e tutto può tramutarsi in mostri da combattere. I mostri si nascondono sotto i letti, negli armadi, nel buio della stanza, ma cosa succede se essi si nascondono dentro casa? O peggio ancora, nell'interiorità dei propri cari? Suburbicon, ultima opera da regista di George Clooney, gioca su questo terrore atavico; Clooney fa suoi gli insegnamenti di Alfred Hitchcock sul cinema di genere e del thriller a tratti umoristico, lo interiorizza fino a confondere lo spettatore con una storia ben curata visivamente ed elaborata narrativamente. Tra una fotografia colma di contrasti di luce e ombre, e un intreccio fatto di sospetti e suspense, Suburbicon si arricchisce di situazioni paradossali e dal sapore comicamente macabro tipico dei fratelli Coen che non può far altro che attirare lo spettatore e immergerlo in questo gioco di sfiducia e ambiguità. La conduzione di una vita perfetta è solo retaggio di un'apparenza fin troppo ostentata a Suburbicon; un gioco di riflessi dissimulatori a cui la famiglia Lodge non può di certo sottrarsi, fino a diventarne la massima rappresentante.
Gardner Lodge abita nel ridente quartiere di Suburbicon insieme alla moglie Rose, paralizzata a seguito di un incidente, l figlio Nicky e la cognata Margaret. Quando la famiglia di colore Meyers si trasferisce nella villa accanto alla loro, l'intera comunità si mobilita per cacciare via questo gruppo di odiati "negri", senza rendersi conto che i veri demoni si nascondono in un'altra casa, non troppo lontana dalla loro.
Giocando su una doppia linea narrativa, Suburbicon segue dunque la lotta alla sopravvivenza di due famiglie vicine di casa, ognuna intenta a combattere i propri mostri grazie alla forza generativa, pura e sognatrice dei bambini. Lontani da pregiudizi e istinti razzisti, Nick e il piccolo di casa Meyers instaurano una profonda e sincera amicizia, capace di superare il pericolo della diseguaglianza di razza e di aiutarli a farsi forza a vicenda. Un attacco forte e non troppo implicito, questo, che va a colpire dritto al cuore un governo contradditorio e ipocrita come quello di Trump, attraverso vizi e virtù di un'apparente gioiosa cittadina dell'America anni Cinquanta. La scrittura dei Coen c'è e si sente, ma essa cadrebbe nell'oblio se non sostenuta da un buon occhio cinematografico; e quello di Clooney si rivela qui un buon occhio registico. Allo stesso tempo il film si rinforza di una sequela di performance attoriali che rasentano la perfezione; nella fattispecie, la sequenza con protagonisti Oscar Isaac e Julianne Moore è una sfida a braccio di ferro tra chi dei due buca maggiormente lo schermo a suon di bravura. In questo spettacolo grottesco, messo in scena su palcoscenici fatti di mura domestica macchiate di sangue, a rivestire il ruolo da protagonista è la solita criminalità improvvisata, pronta a ballare un valzer insieme alla più tipica idiozia dei Coen (numerosi i richiami a Fargo). Un valzer condotto sulle note di un Alexandre Desplat in stato di grazia.
Ciò su cui si fonda il punto di forza dell'intera opera è il cambiamento repentino che i personaggi conoscono nel corso degli eventi; vi è un'involuzione verso la mostruosità che abbraccia ogni singolo personaggio e lo inghiottisce verso gli anfratti più oscuri della loro personalità.
(La recensione del film "
Suburbicon" è di
Elisa Torsiello)
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