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Storie pazzesche recensione] - Presentato in concorso al 67° Festival di Cannes, "Storie Pazzesche" è il terzo lungometraggio da regista e sceneggiatore dell'argentino Damián Szifrón. Pur uscito a mani vuote – in termini di premi – dalla kermesse francese, il film ha ottenuto grandi consensi della stampa internazionale ed è il candidato agli Oscar, per l'Argentina, al Miglior Film Straniero. Era da tempo con non si vedeva una commedia a episodi – specialmente come questa – in cui viene esplorato il lato selvaggio che si nasconde, sopito, dentro l'animo umano e che è pronto a risvegliarsi in situazioni al limite della sopportabilità, dove l'istinto (anche animalesco) finisce per prevalere, irrimediabilmente, sulla ragione. Il primo episodio – che svela da subito il filone stilistico e narrativo verso cui andremo incontro – è ambientato a bordo un aereo in volo. Sarà un caso? Forse no, visto che tra i produttori figura nientemeno che Pedro Almodóvar (con la sua casa di produzione El Deseo), che proprio lo scorso anno aveva ambientato anche lui in un aereo il suo ultimo e sboccato film, "Gli Amanti Passeggeri". Nonostante questo, però, i racconti selvaggi di Szifrón si accostano più al cinema grottesco di Álex de la Iglesia; altro famoso cineasta spagnolo, prodotto anche lui dallo stesso Almodóvar. Tra i tanti personaggi sull'orlo di una crisi di nervi che incontriamo per strada ci sono, infatti, anche due donne spietate e vendicative – la cuoca del ristorante del secondo episodio e la sposa impazzita dell'ultimo, interpretata brillantemente da Erica Rivas – che ricordano proprio le agguerrite signore in eterna lotta contro il genere maschile, protagoniste dell'ultima pellicola di de la Iglesia, "Las Brujas de Zugarramurdi" (Le Streghe di Zugarramurdi), ancora inedita in Italia. La (possibile) rivalsa del sesso debole verso quello forte è solo uno dei tanti temi trattati in questi capitoli di ordinaria e quotidiana follia. Tra gli altri, c'è la notevole importanza del fato e della casualità – messa piuttosto in risalto nella sceneggiatura – che sfociano, poi, in fortuna o sfortuna e il desiderio (impossibile) di sfuggire alla burocrazia e alle regole del sistema, che vengono imposte al singolo individuo. Particolarmente significativo, in questo senso, è l'episodio che ha come protagonista Ricardo Darín (già visto, un paio di anni fa, nello stralunato e surreale "Cosa Piove dal Cielo?"), in cui Simón si vede stravolgere la sua giornata da una serie di piccoli imprevisti, che la trasformano in un incubo vero come la realtà. Oltre ad avere un certo talento nella scrittura, Szifrón si dimostra altrettanto abile nell'utilizzare la macchina da presa: i titoli di testa, ad esempio, rimangono, senza dubbio, impressi nella mente – grazie anche all'aiuto del direttore della fotografia Javier Julia – e danno già un taglio di originalità quanto mai pertinente alla storia e al suo significato. E non è l'unico momento in cui le immagini (pure solo a livello metaforico) si fanno specchio dei personaggi e dei loro stati d'animo. Ad esplodere, infatti, non è solo la loro rabbia,ma anche ciò che gli sta attorno: edifici, automobili e… aerei. Così come esplodono, fragorose, le risate liberatorie che il film suscita; lasciando, però, un pizzico di amarezza per le vicende raccontate, che non sono così lontane dalla realtà di tutti i giorni e in cui ognuno di noi potrebbe ritrovarsi. Senza essere in un film.
(La recensione del film "
Storie pazzesche" è di
Angelo Genovese)
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