di M. Nottoli
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Storia di una ladra di libri recensione] - Se dopo 10 minuti avrete voglia di uscire dal cinema, avreste ragione ma aspettate. In una Germania alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale che sembra uscita dall' Oliver Twist di Dickens, facciamo la conoscenza della bambina protagonista che, nell'ordine, vede morire il fratellino, viene abbandonata dalla madre, viene adottata da una coppia in cui la moglie comincia a insultarla ancor prima di scendere dall'auto, ha dei nuovi compagni di scuola che le gridano "scema, scema" senza apparente motivo e una maestra che, guarda caso, se la prende con lei. Bene, i 10 minuti sono passati. Da ora fino alla fine Storia di una ladra di libri prende le misure, si distende e si lascia seguire, riservando alcune sorprese piacevoli assolutamente non preventivabili stando all'incipit. Sorprende perché tutti gli stereotipi che lasciava intravedere in quelle poche sequenze, alla resa dei conti non si dimostrano tali, il senso di sfiga facile e montante che segna in negativo l'avvio, col tempo si stempera lungo un racconto che segue al contrario traiettorie non decodificate, i personaggi, che di primo acchito sembrano sbozzati con la mazzuola, rivelano un'intensità e una serie di sfumature caratteriali che sono probabilmente la parte più riuscita della pellicola. Certo, l'enfasi retorica che permea un racconto che vive sulla contrapposizione tra il male assoluto da un lato, ovvero il Nazismo, e la forza e la purezza di una bambina che trova salvezza nelle parole dei libri che trafuga di nascosto dalla casa del borgomastro, è tanto abusata quanto fastidiosa, sottolineata per di più dal ricorso a simbologie grossolane e messaggi apodittici di non comprovata veridicità, come la personificazione della Morte quale voce narrante che pontifica sulla condizione umana o il libro inteso come valore in sé da difendere a priori (come se non esistessero migliaia di libri che meriterebbero il macero) al punto che anche in fin di vita si stringe il libro tra le mani, o ancora lui che, costretto a fuggire, prima di andarsene dice a lei "io vivrò sempre nelle tue parole" (e che cazzo vuol dire?), il tutto ulteriormente appesantito dalle musiche solenni di John Williams. Tratto dal best seller omonimo, tradotto in più di 30 lingue, di Markus Zusak, anche sceneggiatore, Storia di una ladra di libri riesce a svicolare i difetti ontologici inerenti al genere letterario cui appartiene trovando nella caratterizzazione non scontata dei personaggi e soprattutto nelle interpretazione degli attori, capaci di dare forma tangibile a sentimenti che vanno dal dolore alla speranza alla rassegnazione, il suo vero punto di forza. Tra questi spiccano Emily Watson e Geoffrey Rush, l'una burbera dal cuore d'oro, l'altro dal cuore d'oro e basta (peggio di Benigni ne la vita è bella), dimostrano come ci si può amare ruvidamente senza melensi vezzeggiativi; e spicca anche la giovane Sophie Nelisse che già si candida a contendere l'universo cinematografico di domani a Chloe Moretz.
(La recensione del film "
Storia di una ladra di libri" è di
Mirko Nottoli)
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