La recensione del film Storia d'inverno

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STORIA D'INVERNO - RECENSIONE

Storia d'inverno recensione
Recensione

di Sara Medi
[Storia d'inverno recensione] - New York, 1916. Peter Lake (Colin Farrell), orfano di origini irlandesi, entra a far parte degli Short Tails, un gruppo di pericolosi gangster al servizio di un'oscura figura chiamata Il Giudice (Lucifero), il cui scopo è cancellare la speranza e i miracoli. Essi rubano pietre preziose perché queste riflettono la luce del sole e delle stelle e gli forniscono utili informazioni sulle loro vittime. Peter dimostra subito di essere un abile ladro e il capo banda, lo spietato Pearly Soames (Russell Crowe), ne rimane affascinato; al punto che Peter diventa il suo pupillo e lo cresce come un figlio. Tuttavia Peter non tarda a rivelare anche il suo nobile animo che lo porta ad essere un ladro gentiluomo, più vicino a Robin Hood che ad Al Capone, e questo, inevitabilmente, gli procura dei forti attriti con Pearly che lo vorrebbe più violento e sanguinario. Soames, infatti, vive l'atteggiamento di Peter come un tradimento e il giovane passa così rapidamente dall'essere il suo favorito all'essere suo nemico giurato. Il suo ex mentore, infatti, lo vuole morto a qualunque costo e mette una taglia sulla sua testa, dando così il via ad una serrata caccia all'uomo. Peter, durante un primo scontro con Pearly e i suoi uomini, si salva solo grazie all'aiuto di Anthansor, un misterioso cavallo bianco che si rivelerà essere il suo spirito guida, ed è sempre grazie all'animale che il giovane si convince a compiere un ultimo furto in una villa prima di lasciare la città. Peter però non sa che proprio lì si trova il suo 'miracolo': una persona destinata a cambiare per sempre il corso della sua vita e a fargli vivere un'incredibile avventura a cavallo tra due epoche. Il giovane, pistola alla mano, s'introduce nella lussuosa abitazione con l'intento di svaligiarla: è convinto che sia vuota, ma si sbaglia. Individuata la cassaforte si accinge a scassinarla quando, con grande sorpresa, si imbatte nella bellissima Beverly (Jessica Brown Findlay): una giovane dai capelli rosso fuoco, figlia del ricco proprietario della villa. Beverly sta suonando il pianoforte e non si accorge della presenza di un estraneo finché uno scricchiolio, proveniente del parquet alle sue spalle, la fa sobbalzare: è Peter Lake. Inaspettatamente però è un amore a prima vista per entrambi: Beverly intuisce subito che Peter è un bravo ragazzo, anche se fa cose sbagliate, e non lo teme, ma anzi, al contrario, lo accoglie con grande ospitalità e Peter desiste dai suoi intenti. Sembrerebbe un perfetto idillio romantico, ma gli ostacoli sono in agguato: la ragazza, infatti, è affetta da una forma di tubercolosi mortale e il demoniaco Pearly, deciso ad eliminare entrambi per impedire che il 'miracolo' di Peter si realizzi, è sulle loro tracce. In seguito Peter e Beverly passano dei magici momenti insieme, presso la tenuta al lago di lei, che culminano con il ballo della vigilia di capodanno e con una notte d'amore. Tuttavia il mattino seguente, a causa del veleno datogli di nascosto da uno degli scagnozzi di Pearly, Beverly muore. Peter, distrutto dal dolore, torna in città e si scontra nuovamente con Pearly, ma questa volta ha la peggio: Anthansor non riesce a salvarlo e il giovane viene gettato dal Ponte di Brooklyn. New York, 2014. Peter è ancora vivo, giovane e bello come Highlander, ma ha perso la memoria e vaga per la città alla ricerca di un segno che possa aiutarlo a ricordare chi è e da dove proviene. L'incontro con Virginia (Jennifer Connelly), madre single, e sua figlia (l'esordiente Ripley Sobo), una bambina dai capelli rossi malata di cancro, lo aiuterà a far luce sul suo passato e a capire quale è il suo destino. "Storia d'inverno", esordio alla regia di Avika Goldsman, sceneggiatore (Cinderella Man, Io sono leggenda, Il Codice Da Vinci, Angeli e Demoni, Constantine, Batman&Robin e Premio Oscar per lo script di A Beautiful Mind) e produttore (Paranormal Activity, Lone Survivor, Mr e Mrs Smith), è la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Mark Helprin. La pellicola, pubblicizzata come il film più romantico dell'anno, vorrebbe essere una favola delicata e ricca di lirismo, ma sfortunatamente fallisce nel suo intento e, a causa di molteplici fattori, finisce con l'assomigliare maggiormente ad una fiaba grottesca, demenziale e, a tratti, anche un po' trash. Goldsman per adattare le quasi 800 pagine del romanzo di Helpirn alle 113 della sua sceneggiatura compie dei tagli goffi e mal calibrati: tralascia talmente tanti dati, dandoli erroneamente per scontati, da rendere la trama incomprensibile per chiunque non abbia letto il libro di Helprin. Trama che, invece, avrebbe meritato maggiore spazio e trasparenza perché ben più complessa di quanto sembri: non si tratta, infatti, solo di una storia d'amore, a differenza di quanto sembrano suggerire il trailer e la campagna pubblicitaria realizzata per il lancio del film (basti pensare all'uscita prevista a ridosso di San Valentino e al contest indetto al riguardo), ma della messa in scena di temi ben più complessi quali la lotta secolare tra Bene (luce) e Male (ombre), la forza del destino, la capacità di compiere magie e miracoli. L'intreccio è fragile, caotico e zoppicante tra buchi di sceneggiatura che danno vita a scene inspiegabili e dialoghi imbarazzanti e melensi ("Qual è la cosa più bella che hai rubato?" - "Sto iniziando a credere di non averlo ancora fatto"); il cast è stellare, ma le performance sono sotto tono; gli effetti speciali appaiono pacchiani e discutibili; i personaggi risultano eccessivamente caricaturali al punto da diventare involontariamente comici (Russell Crowe nei panni di Pearly Soames scatena nello spettatore più ilarità che paura, per non parlare di Will Smith in quelli di Lucifero) e la voce off ripete cliché banali e abusati ("E se fossimo tutti parte di un solo, grande disegno? Ogni essere umano ha dentro di sé un miracolo da portare a termine, prima di potersi ricongiungere a coloro che ha amato. E quando abbiamo finito qui, dopo una o mille vite, saliamo in cielo e diventiamo stelle"). Il risultato finale è un minestrone privo di qualsiasi credibilità narrativa. Se già nella prima parte del film gli avvenimenti si susseguono in maniera troppo rapida e approssimativa, nella seconda, quella ambientata ai giorni nostri, il ritmo del film aumenta in maniera insostenibile e si ha la netta sensazione che il regista stia conducendo una lotta contro il tempo per rientrare nei tempi previsti per il film. L'opera, presentandosi come un'involontaria parodia del genere, non soddisferà le aspettative di chi cerca una commedia romantica da guardare a San Valentino, né di chi ambisce a una gradevole avventura fantasy, ispirata ai modelli degli anni '80 come "Labyrinth", "La Storia Infinita" e "La storia fantastica". L'importante esordio alla regia del newyorkese Goldsman è stato costellato da diverse vicissitudini, alcune anche di carattere strettamente privato: dal budget ridotto all'uragano Sandy, che ha distrutto molte delle strutture dei set, fino alla morte improvvisa della moglie che è avvenuta proprio durante la stesura della sceneggiatura. E' evidente dunque che, dietro alla realizzazione di questo film, via sia la volontà di Goldsman di rendere omaggio alla sua città e a un libro che ha amato molto, ma anche una necessità personale. Lui stesso, in un'intervista, dichiara: "Mia moglie è morta mentre scrivevo lo script e io avevo bisogno di crederci, di credere nei miracoli. Non volevo fare più niente, ma poi mi sono dedicato al film per restare vivo e questo mi ha salvato la vita". Purtroppo però, nonostante tutte le attenuanti del caso, il giudizio sul film non può essere che negativo. Pensare "l'amore è il vero miracolo, tutti noi abbiamo un destino e quando iniziamo a capirlo l'universo ci aiuta con degli spirti guida o angeli custodi" è molto rincuorante, ma non basta a salvare questo film. Così come non bastano nemmeno la bella fotografia di Caleb Deschanel, la colonna sonora di Hans Zimmer e il brano "Wings", realizzato ad hoc dalla cantante del momento, la giovanissima Birdy, acclamata dalla critica britannica e con all'attivo 1,2 milioni di dischi venduti nel mondo. Se nel 2002 Goldsman, partendo da un libro di Sylvia Nasur, ha scritto la sceneggiatura di "A beautiful Mind" e ha vinto il premio Oscar, questa volta non gli riuscirà certo di ripetere il successo. La locandina del film afferma: "Non è una storia vera. E' vero amore." Io, invece, direi: Non è una storia vera. E' una vera delusione. (La recensione del film "Storia d'inverno" è di Sara Medi)
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