La recensione del film Stoker

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STOKER - RECENSIONE

Stoker recensione
Recensione

di Simonetta Menossi
[Stoker recensione] - "Le mie orecchie odono ciò che agli altri sfugge. Le piccole remote cose che la gente normalmente non vede sono visibili ai miei occhi. Questi sensi sono il frutto di una vita di desideri, desideri da riscattare. Da completare. Come alla gonna serve il vento per gonfiarsi, io non sono fatta solo di me stessa. Indosso la cintura di mio padre, stretta attorno alla camicia di mia madre. E le scarpe di mio zio. Questa sono io! Proprio come un fiore non sceglie il proprio colore, noi non siamo responsabili di ciò che diventiamo. Solo dopo averlo realizzato saremo liberi e diventeremo adulti. Questo è essere liberi". Sono le parole del monologo di India Stoker (Mia Wasikowska) che apre l'inizio di "Stoker", del regista coreano Park Chan-Wook, un vero gioiello di arte cinematografica, un thriller oscuro ed inquietante, girato interamente in lingua inglese. India è una ragazza efebica, dal volto pulito e lo sguardo intenso, riservata e taciturna. Nel giorno del suo 18° compleanno perde il padre, Richard (Dermot Multoney) in un curioso ma fatale incidente stradale. Nel giorno del funerale, India scorge in lontananza una figura di giovane uomo. Si tratta dello zio Charlie (Mattew Goode), persona ambigua, sinistra, eppur dotato di un fascino misterioso, che decide di restare nella casa del defunto fratello, accanto ad India e sua madre Evie (Nicole Kidman), donna fragile ed instabile emotivamente. Il triangolo prende forma ed è intorno ad esso che Park Chan-Wook tesse la crescita dell'orrifico e malvagio sentimento che condurrà India in un percorso d'iniziazione, oltre l'adolescenza, nel mondo adulto, verso la conquista di una maturazione di sentimenti come, appunto, India stessa preannuncia nel suo monologo iniziale. Park Chan-Wook racconta un mondo circoscritto a questi tre personaggi attratti da un fluido impalpabile ma tenace. L'attrazione di India per suo zio cresce in una dimensione esponenziale e si rivela in tutta la sua forza ostinata nella scena della sonata a quattro mani tra la ragazza e l'uomo, momento in cui il gioco musicale rivela il consumarsi figurativo di un amplesso incestuoso. Ma lo zio Charlie intriga anche la bella cognata Evie che non tarda ad accettare le ingannevoli e mirate lusinghe dell'uomo dallo sguardo magnetico. Qui il cinema di Park Chan-Wook si dichiara in tutta la sua originale forma di arte comunicativa. Non ci sono scene cruente che sconvolgono. L'attesa di ciò che può succedere si rivela il motore del thriller: dal piccolo ragno che si arrampica sulle gambe di India, all'accumulo di tensioni che si susseguono senza sosta nelle tormentate vite dei tre protagonisti. Park Chan-Wook ha senza dubbio voluto rendere un grande omaggio al maestro Hitchcock. Il film è costruito su un circuito emotivo disarmante perché fa della lentezza scenica la lama tagliente che travalica il parossismo ed inchioda lo spettatore in una sottile e piacevole tensione emotiva. La dolce e tenera India, dallo sguardo di cerbiatta sbigottita, raggiunge con morbosa consapevolezza quella tanto agognata maturazione adulta, concupita dalla personalità dello zio Charlie. Il linguaggio filmico intriso di una scrittura raffinata e celebrativa sensualità, non tradisce mai la squisitezza dell'equilibrio scenico, la compostezza e la bravura recitativa, amalgamati alla perfezione dalla mano registica di Park Chan-Wook. Tutto in "Stoker" è arte pura, filtrata dai colori vividi di una fotografia che incanta e sublima. (recensione di Rosalinda Gaudiano)

(*** 1/2) - Teso, metadiscorsivo, erotico e perturbante. Il nuovo film di Park Chan-wook sembra tracciare una linea di rinnovato vigore nel lavoro del cineasta coreano. Questo primo titolo in occidente (e girato in inglese) è il cammino di formazione di una diciottenne (Mia Wasikowska) che perde il padre in un incidente stradale. L'arrivo dello zio (Matthew Goode), uomo dal fascino losco ed estraniante, le scombussola la vita finché le sue giornate si tramutano in un susseguirsi di episodi misteriosi, che riveleranno retroscena agghiaccianti. Ne verranno coinvolte anche la madre (Nicole Kidman) e la zia (Jacki Waever) in un turbine di eventi inaspettati. "Stoker" lacera lo schermo con violenza inaudita eppure mantiene l'eleganza di una sonata al pianoforte. La regia impeccabile di Park guida lo spettatore nei lati oscuri della vendetta e delle pulsioni umane, con un coraggio estetico e una direzione degli attori che scardina la sintassi filmica tradizionale. Il regista prosegue dunque il percorso iniziato nei film precedenti – e culminato con "Old Boy" – rinnovando scelte visive e sonore. Interpretazioni da manuale e sottofondi hitchcockiani sono riuscitissimi e venati da un'ironia macabra. "Stoker" è un film dalla sceneggiatura non sempre controllata ma sublimato da un'atmosfera che il regista, alla premiere australiana, ha definito "di quiete". La violenza raggiunge con "Stoker" un piano metafisico, quasi diafano, che fa di questo film un'esperienza di rara intensità. (recensione di Simonetta Menossi)
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