La recensione del film Still Alice

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STILL ALICE - RECENSIONE

Still Alice recensione
Recensione

di Sara Medi
[Still Alice recensione] - Uno degli elementi fondamentali su cui si basa la nostra identità è la memoria, ma che cosa accadrebbe se la perdessimo da un giorno all'altro? Non finiremmo per perdere noi stessi? Da questa profonda riflessione parte "Still Alice", adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Lisa Genova, diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland. Al centro del film la cinquantenne Alice Howland (Julianne Moore) che conduce una vita piena e soddisfacente sia sul piano professionale che su quello personale: insegna linguistica alla Columbia University di New York e ha una solida famiglia composta da tre figli, Lydia, Anna e Tom, e dall'affettuoso marito John. Tutto cambia quando un giorno, durante una lezione che sta tenendo, ha un piccolo vuoto di memoria. Inizialmente pensa sia colpa dello champagne che ha bevuto a pranzo e non vi dà molto peso, ma successivamente si verifica un altro episodio anomalo: mentre sta facendo jogging intorno al campus, improvvisamente non riconosce più dove si trova e prova una forte sensazione di spaesamento che la porta a smarrirsi. In seguito, convinta di avere un tumore al cervello, si fa visitare da un medico e scopre così di avere non il cancro, ma una malattia altrettanto terribile: una rara forma precoce del morbo di Alzheimer che è addirittura ereditaria e quindi mette a rischio anche la salute dei suoi figli. Per Alice comincia così un lento declino cognitivo, un'inarrestabile discesa nell'oblio che la porterà a dimenticare se stessa. Nonostante faccia di tutto per mantenere vivi i suoi ricordi, questi inevitabilmente poco alla volta si dissolvono, rendendola irriconoscibile agli occhi dei suoi cari: da donna forte e sicura di sé qual era, diventa fragile e indifesa. Per Alice, affermata linguista che proprio allo studio del linguaggio ha dedicato l'intera esistenza, non essere più in grado di comunicare diventa uno stigma ancor più umiliante da sopportare di quanto non lo sarebbe già per chiunque altro. La pellicola, delicata e poetica, affronta un tema difficile come quello della malattia in maniera diretta, ma senza mai scadere nella retorica o nel pietismo. La trama all'inizio si concentra maggiormente sulle percezioni della donna piuttosto che sulle reazioni di chi la circonda. La storia, infatti, ci viene raccontata dal punto di vista di Alice che, attraverso il suo sguardo perso e sfocato, ci fornisce una prospettiva narrativa diversa dal solito e resa, grazie all'uso della soggettiva, emotivamente più coinvolgente. Merito anche di un grande cast di attori tra i quali spicca una straordinaria Julianne Moore, capace di rendere alla perfezione il dramma interiore della protagonista, e candidata all'Oscar proprio per la sua magistrale interpretazione. "Still Alice", applaudito a Toronto e presentato al Festival di Roma, non parla solo di malattia e sofferenza, ma anche di speranza e amore. Quell'amore tanto forte da resistere a qualsiasi ostacolo, compresa la più terribile malattia. In questo senso l'evoluzione del rapporto madre-figlia è esemplificativo e ci offre un'interessante chiave di lettura. La relazione tra le due, inizialmente conflittuale a causa della scelta di Lydia (Kristen Stewart) di non iscriversi al college per tentare la carriera d'attrice, migliora proprio grazie alla malattia della madre, che permette loro di riavvicinarsi. Lydia, infatti, attraverso il teatro la aiuta nella terapia cognitiva e la spinge, dato che non può più contare sulla memoria, ad affidarsi a un nuovo linguaggio: quello del cuore e delle emozioni. (La recensione del film "Still Alice" è di Sara Medi)
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