di R. Gaudiano
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Sole Alto recensione] - Un amore condannato quello che infiamma i cuori di Ielena ed Ivan, lei croata e lui serbo, due giovani che sorridono alla vita. Nell'estate assolata del 1991, nel cuore dei Balcani, sulle rive di un lago, tra l'erba selvaggia, un gregge di pecore corre impetuoso, mentre il suono della tromba di Ivan è in perfetta sinergia con la bellezza del luogo. La guerra nei Balcani sta per esplodere e l'odio etnico corre sul filo. Jelena ed Ivan per amarsi devono scappare dai propri villaggi e rifugiarsi a Zagabria. 2001, la guerra è finita, ma la distruzione e la ferocia dell'odio albergano la vita dei villaggi e non solo. Natacha fa ritorno nella sua casa, con sua madre. Ante, un giovane croato, si offre di collaborare per rimettere in sesto l'abitazione mal ridotta. La ricostruzione ha la maschera della diffidenza, dell'impossibilità di essere portatori di perdono, le accuse nutrono ogni nascita di relazione. Marja e Luka si ritrovano, nel 2011, in occasione di festeggiamenti che uniscono i due villaggi. Marja è serba e Luka e croato, si sono amati. Mentre l'eco della guerra è svanito, il pregiudizio etnico non appartiene ancora ad un passato remoto, e lo nutrono le stesse madri. Dalibor Matanic, lungo lo spazio di tre decenni, ha filtrato attraverso il volto di due giovani (interpretati rispettivamente da Tihana Lazovic e Goran Markovic), di etnie diverse, il terribile conflitto etnico che ha devastato la terra dei Balcani tra il 1991 ed il 1995. Il cineasta serbo scrive e mette in scena la vita di un popolo che per funesti dettami politici aprì le porte ad un conflitto cruento, disumano, che avvelenò le coscienze impastandole con le macerie di interi villaggi distrutti. Ma non tutto è odio e distruzione. L'amore di due ragazzi, a cui Matanic cambia identità e tempo storico ma non i volti, rappresenta la forza buona del futuro, quella meravigliosa essenza umana che illumina la fiamma della speranza per ricostruire un domani migliore. Con uno stile narrativo soggettivo, "Sole alto" rispetta le unità base della finzione cinematografica: gli eventi, il tempo e lo spazio in perfetta sinergia con le identità dei personaggi che si coniugano con la ciclicità progressiva delle storie e i contenuti di queste. Matanic rende molto bene l'idea, sempre viva nella contemporaneità, del contrasto fratricida dei conflitti interetnici, alimentati dalle intolleranze culturali, identitarie e religiose. Le vittime per eccellenza sono i giovani, in fase di formazione delle proprie coscienze nelle comuni relazioni sociali. Situazioni che sono in viva recrudescenza nel mondo attuale per guerre d'interessi politici e diversità di religione. "Sole alto" è un messaggio positivo nella simbologia della luce solare, del buio della notte che cede all'alba il giorno che nasce, nella limpidezza dell'acqua che accoglie e purifica. Il giovane cineasta serbo è attento alla dinamica delle rappresentazioni dei volti, maschere di anime abbrutite da un odio senza senso. La mdp spazia in inquadrature di grande respiro scenico, rendendo abilmente fruibile per lo spettatore l'essenza dello spazio filmico come linguaggio comunicativo ed estetico. Il conflitto nei Balcani è stato più volte trattato come soggetto cinematografico. Nel 1998 Goran Paskaljevic con "La Polveriera" tracciò un affresco funesto e sconvolgente della devastazione psicologica che il conflitto aveva inflitto alla popolazione. I due giovani personaggi di Matanic, nelle loro diverse identità che assumono nelle tre storie narrate, combattono, si amano con rabbia ed infine, nella frenesia smodata del (s)ballo del villaggio, si (con)fondono senza remore. Un film toccante, che afferma la corrispondenza di sentimenti interiori, di passioni e di odi, "Sole alto" ha vinto il Premio della giuria "Un Certain Regard" alla 68° edizione del Festival di Cannes.
(La recensione del film "
Sole Alto" è di
Rosalinda Gaudiano)
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