di R. Baldassarre
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Sognare è vivere recensione] - Presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel 2015, giunge finalmente nelle sale italiane Sognare è vivere. Trasposizione del romanzo autobiografico Una storia di amore e tenebra di Amos Oz, pubblicato nel 2002, A Tale of Love and Darkness segna l'esordio registico nel lungometraggio della brava e affascinante attrice Natalie Portman. Trasposizione a lungo desiderata (l'attrice acquistò i diritti del libro nel lontano 2007), nella realizzazione finale di Sognare è vivere, dietro il discreto risultato, traspare questa passione mista alla riverenza che la Portman ha verso il romanzo – personale – di Oz. Natalie Portman decide, attraverso il racconto filmico, di sdoppiarsi. Come attrice (e soprattutto donna) dona corpo e anima a Fania, che lei vede e sente come una figura familiare del passato; e come regista e "alunna" del XX secolo, si rispecchia nel piccolo Amos e in ciò che vede e prova; attraverso di lui, bambino innocente, la giovane autrice scopre e "rivive" la sanguinosa storia della sua terra tra il 1945 e il 1953. Da questo punto di vista, Sognare è vivere segue l'andamento di un romanzo di formazione, emotivo e culturale, per il piccolo Amos. La giovane regista, dietro una patina visiva troppo assuefatta al cinema pseudo-impegnato hollywoodiano, realizza comunque un'opera coraggiosa, decidendo di adottare la lingua ebraica. Tale scelta, poco commerciale, è in ossequio al suo popolo e alla sua cultura. A Tale of Love and Darkness, nella sua emozionale rievocazione in immagini, diviene una pellicola claustrofobica e cupa. La storia filmica si svolge soprattutto tra la piccola casa Klausner e i vicoli di Gerusalemme, fotografati con colori saturi da Slawomir Idziak. Anche i sogni/racconti di Fania hanno gli stessi plumbei colori, e solamente nelle scene finali, quando il giovane Oz vive in un kibbutz, le immagini divengono solari e libere. La distribuzione italiana della pellicola, con due anni di ritardo (cui bisogna sommare l'infelice esito ai box-office americani), è da considerarsi come un furbetto recupero per cavalcare l'ottimo successo della recente pellicola Jackie di Pablo Larrain, in cui la Portman vestiva i panni della vedova Kennedy. Sognare è vivere, come già scritto, è un'opera tanto lodevole, soprattutto per il coraggio di Natalie Portman di volerla realizzare anche senza attori di nome, quanto programmatica nel suo narrare la triste storia di Amos, di sua madre e la sua terra. La densa materia scritta da Oz (oltre 600 pagine), viene sintetizzata e "appiattita" in alcune scene di facile effetto emotivo. Una trasposizione cinematografica – elegante – che ricorda quelle che realizzava Bille August con noti Best sellers letterari, tipo La casa degli spiriti o Jerusalem.
(La recensione del film "
Sognare è vivere" è di
Roberto Baldassarre)
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