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Si alza il vento recensione] - Suo ultimo lungometraggio animato, come ha dichiarato lo stesso regista, da "The wind rises" è lecito attendersi una sorta di testamento artistico del celebrato padre dell'animazione giapponese, Hayao Miyazaki, ipotesi che, senza troppo temere il rischio di sovra-interpretazione, effettivamente si verifica. "The wind rises" infatti si presenta fin dal principio come un condensato di tutti i temi prediletti nella poetica dell'autore: c'è il Giappone e la sua storia, dal devastante terremoto del 1923 alla Seconda Guerra Mondiale (lo stesso protagonista, Jiro Horikoshi, è tratto da un personaggio realmente esistito), c'è il candore della fanciullezza che mescola senza malizia realtà e finzione, c'è la durezza della vita vera contrapposta alle infinite possibilità della fantasia, c'è il pacifismo e l'ambientalismo di fondo (si progettano aerei che serviranno alla guerra ma l'intento che li genera e li muove è l'opposto) e c'è quello che per Miyazaki costituisce il tema dei temi, ossia il volo, tema cardine che, inteso sia in termini figurati sia realistici, sa contenere e farsi metafora di tutti gli altri. E c'è anche molta Italia, in questo "The wind rises", con l'omaggio all'ingegner Giovanni Battista Caproni, pioniere della progettazione aeronautica le cui gesta ispireranno le azioni del giovane protagonista che non potendo pilotare gli aerei in quanto miope decide di progettarli. Il tricolore sventola ma non è tutt'oro quel che luccica. Tutto comincia con "Porco Rosso". Anche là gli aerei erano Caproni ma l'ingegnere non veniva mai menzionato. Qualcuno degli eredi, pare (pare!) si sia arrabbiato e, armato di carta e penna, abbia inviato allo Studio Ghibli qualche velata missiva minatoria. Et voilà: il risarcimento, seppur tardivo, è servito con gli interessi. Ma sarà forse per questo desiderio di non scontentare nessuno o per quello di stilare un bilancio all'altezza della sua fama, sarà quel che sarà ma "The wind rises" risulta pletorico e pesante, troppo lungo e troppo lento, e soprattutto, alla stregua dei tanti aerei che racconta, viziato da troppi decolli che non vanno da nessuna parte. Un andirivieni ripetuto portatore di un messaggio incerto, un balletto amoroso in cui non è mai chiaro quali siano le priorità, un grande amore che, nonostante i proclami da ambo le parti, lui corre solo quando lei chiama, genio aeronautico più coinvolto dagli aeroplani che dal gentil sesso, la cui grande invenzione pare consistere solo nel limare i rivetti come DiCaprio in the Aviator. Lo stile di Miyazaky è quello che conosciamo, orgogliosamente legato alla tradizione e va bene, nella misura in cui non si deve cedere per forza ad ogni capriccio modaiolo in 3D. Il sospetto, a noi che non siamo supporter a prescindere, è che Miyazaky non si sia mai mosso da Conan, come si evince dalla sagoma dei velivoli, dagli zoccoli dei giapponesi, dalle fisionomie dei volti, e che quello rimanga il vertice ineguagliato della sua produzione. Non siamo gli unici, crediamo , a pensarla così. Al Future Film Festival, dove è stato presentato in anteprima nazionale, il film evento dell'edizione 2014 ha probabilmente deluso la platea costretta a sopprimere a mezz'aria l'applauso che fin dall'inizio non vedeva l'ora di tributargli. Tuttavia i fan non disperino: c'è chi sostiene che Miyazaki si stia già rimangiando la parola data.
(La recensione del film "
Si alza il vento" è di
Mirko Nottoli)
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