La recensione del film Segantini ritorno alla natura

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SEGANTINI RITORNO ALLA NATURA - RECENSIONE

Segantini ritorno alla natura recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[Segantini ritorno alla natura recensione] - Perchè fare un film su Giovanni Segantini e non su Giacomo Balla o Gaetano Previati o Tranquillo Cremona o Plinio Nomellini, tanto per fare qualche nome? Ce lo spiega lo stesso regista, intervistato all'anteprima del film al Biografilm Festival 2016, il quale, girovagando per la GAM di Milano, rimase colpito da un quadro, "L'angelo della vita", proprio di Giovanni Segantini. Da lì l'idea del film. Gli è andata bene, diciamo noi, perchè al di là della potenza della pittura, Segantini, a cui Palazzo Reale, sempre di Milano, ha dedicato una grande retrospettiva un paio di anni fa, ebbe una vita a dir poco intensa: orfano in tenera età, apolide per tutta la vita (a causa di un documento smarrito durante il suo trasferimento dall'Alto Adige, all'epoca austriaco, all'Italia), un'adolescenza vissuta in povertà vagabondando dentro e fuori il riformatorio, poi la scoperta della pittura, l'iscrizione all'Accademia di Brera, l'amore con Bice, il grande successo e infine la morte improvvisa ad appena 41 anni, in una baita sperduta sulle montagne. Le sue montagne. Ad un occhio disattento Segantini può sembrare un banale paesaggista, il pittore, appunto, delle montagne, delle vacche e delle contadinelle, dei pascoli e dei paesaggi innevati. Eppure Segantini è uno tra i più grandi pittori simbolisti, definito da Kandinskij "il pittore più spirituale mai esistito". Insomma, la semplicità di Segantini è tutta apparente e il regista Francesco Fei è come se cercasse di rendere la complessità del personaggio attraverso la varietà dei linguaggi, mescolando reality e fiction, con Filippo Timi nel ruolo dell'artista, intervallando ricostruzioni a filmati di repertorio, voce off e riprese aeree a narrare con enfasi ad interviste ad esperti che ci illustrano poetiche e tematiche. Non capiamo fino in fondo se sia una scelta autoriale o più semplicemente frutto di confusione di intenti (lo stesso regista ha ammesso che in principio l'idea era quella di un film di pura fiction). Il risultato è un film oscillante tra un biopic fin troppo immaginifico ed un documentario fin troppo didattico, in cui le varie anime affaticano a integrarsi, dove se da un lato alcuni degli intervistati appesantiscono la pellicola con toni scolastici da Rai Educational, dall'altro la parte recitata da Timi pende fortemente verso il clichè, facendo di Segantini un pazzo dallo sguardo allucinato che passa la vita nei boschi abbracciando e accarezzando gli alberi con fare estatico. Nonostante questi limiti, va però dato atto al docufilm di Fei di riuscire a penetrare nelle tele del pittore mettendo bene in risalto le corrispondenze nascoste tra ciò che il pittore dipinge, ciò che il pittore vive e ciò che il pittore sente, coadiuvato ovviamente dalla grandiosità delle tele divisioniste e dalla bellezza delle parole che Segantini ha lasciato sulle pagine del suo diario. (La recensione del film "Segantini ritorno alla natura" è di Mirko Nottoli)
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