di F. Cantore
[
Second Chance recensione] - Durante la conferenza stampa di Second Chance, Cesare Petrillo, co-fondatore della Teodora Film, sottolineava con burbera risolutezza che lì, di Game of Thrones, non si poteva parlare. Ma il dramma di Riggan Thomson alias Birdman (nonché di Michael Keaton alias Batman) è ampiamente condiviso e Nikolaj Coster Waldau non potrà che essere sempre "alias Jamie Lannister", anche contro il volere della casa di distribuzione italiana. Accondiscendenti, veniamo all'ultimo film della danese Susanne Bier, Oscar per In un mondo migliore. Second Chance ci presenta due famiglie diverse, quelle di Andreas e Tristan. L'una quintessenza del perfezionismo borghese, l'altra devastata dalla droga. La storia raccontata da A.T. Jensen e Susanne Bier ha un impianto estremamente classico ed è costruita attorno a una scelta che comporta tutta una serie di implicazioni etiche. È costruita attorno a un dilemma morale. Un uomo onesto, un poliziotto, ma soprattutto un padre è messo di fronte alla tragedia della morte del figlio in fasce, di fronte alla minaccia di suicidio della moglie, di fronte all'impossibilità di vivere il proprio dolore perché costretto a fare una scelta nel giro di poche ore. In quest'ottica, sostituire il proprio bambino con quello di Tristan, sottraendolo a un probabile destino di morte, può davvero considerarsi la cosa sbagliata? Pur alquanto straordinari, gli eventi messi in scena non sono affatto irreali. Anche quando sopraggiungono dei dubbi in merito alla credibilità dei fatti più eccezionali (come può una madre non accorgersi della sostituzione del proprio figlio?), subito il buon senso dello sceneggiatore ci viene in soccorso (il marito la mette al corrente della sostituzione, rendendola complice del crimine). Tutti i tasselli contribuiscono a formare un quadro piuttosto complesso che si tiene in piedi con qualche forzatura, pur necessaria alla verosimiglianza. Capiamo pian piano che non esistono scelte giuste e scelte sbagliate, ciò che importa sono le motivazioni alla base delle azioni. Anche il più integerrimo tra gli uomini, può prendere decisioni discutibili e anche la migliore delle madri scoprirsi in un attimo la peggiore. Gone Girl ce lo insegnava bene, il marcio si nasconde sotto una patina dorata di apparente perfezione. Susanne Bier, dal film di Fincher, sembra prendere a piene mani per la costruzione del personaggio della moglie di Andreas. Di fatto Anna è la versione danese e smunta di Amy Elliott-Dunn. Entrambe alte, belle, bionde e psicolabili. Rosamund Pike era una moglie psicotica, Maria Bonnevie è una madre in stato di depressione post partum. I presupposti cambiano, il risultato, come si vedrà nel finale, è lo stesso.
(La recensione del film "
Second Chance" è di
Francesca Cantore)
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