SCHINDLER'S LIST
di Steven Spielberg
di Francesca Lenzi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
"Verrà un giorno in cui tutto questo avrà fine". L'Olocausto narrato da Steven Spielberg è una delle numerose proposte cinematografiche sullo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale; fra tutte le versioni rappresenta però l'opera più densa di significato ed emotività, elementi trasposti attraverso un adattamento di assoluta perfezione tecnica e di vigorosa trepidazione interiore. All'interno dell'infinito sguardo dell'immane tragedia, il regista sceglie, riferendosi al romanzo di Thomas Keneally, La Lista di Schindler's, di filtrare la storia per mezzo della figura, realmente esistita dell'imprenditore tedesco. Opportunista, libertino, estremamente ambizioso, iscritto al partito nazista, mutò, nel corso degli eventi, le proprie priorità, sostituendo alla ricerca del successo personale la lotta per la salvezza degli ebrei, impiegando, presso la fabbrica, un numero sempre maggiore di operai, accampando pretesti economici, dietro i quali si celavano motivazioni misericordiose. L'orrore della "liquidazione" del ghetto di Cracovia il 13 marzo 1943 rese Oskar Schindler consapevole della mostruosità dei presupposti nazisti, provocando, quale rigurgito imperioso, un costante impegno verso la tutela dei perseguitati, sfruttando l'ascendente che vantava sugli ufficiali del Terzo Reich. Il progetto di un film sulla Shoah ha coinvolto per lungo tempo Spielberg, desideroso di definire una testimonianza essenziale per il pubblico; il risultato, scaturito da uno studio appassionato e rigoroso, ha condotto, nel 1993, a Schindler's List, pellicola capace di vincere, tra gli innumerevoli premi, sette Oscar: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, miglior fotografia, miglior scenografia, miglior montaggio, miglior colonna sonora. Ogni componente svolge un ruolo fondamentale all'armonia totale del prodotto, una combinazione disarmante di atto informativo e di perizia narrativa. Il bianco e nero, oltre alla ponderata spiegazione di aderenza alla documentazione oggettiva, ha una specifica giustificazione da ritrovare nell'esperienza individuale del regista: "Quasi tutto il materiale che ho visto sull'Olocausto è in bianco e nero, quindi la mia visione corrisponde a quello che ho visto in documentari e libri". Lo sforzo di determinazione dell'unità filmica è stato possibile solamente grazie alla contemporanea struttura dei vari costituenti: la valutazione dei costumi, l'assemblaggio delle scenografie, la prospettiva fotografica e l'angolazione di ripresa. In particolar modo, questi ultimi due aspetti forgiano l'eccellente profilo della pellicola, attraverso quadri dotati di autonoma vitalità, affrescati di pallide pennellate e di fosche chiazze e di fuligginose, volanti, apparenze; una bicromia in grado di infondere sullo schermo la più dettagliata gamma di emozioni che qualsiasi altra tavolozza preferibilmente provvista potrebbe mai eguagliare. Spielberg presenta tagli con primissimi piani ad evidenziare ogni minimo particolare del volto umano, dall'imperfezione fisica all'impercettibile, eppure ringhiante, smorfia di dolore e sconfinata prostrazione; dall'attonito sguardo degli oppressi, alle allucinate iridi delle spietate guardie, dalle indifferenti labbra compresse degli ufficiali, ai tremori inevitabili di vittime ignare. Il tutto, sotto l'occhio superiore della macchina da presa, spesso adiacente al fucile di Amon Göth, simbolo della dilagante e inafferrabile atrocità nazista. Schindler's List, al di là della centralità del racconto dell'imprenditore (nel 1967 riconosciuto Giusto tra le nazioni dalla commissione israeliana Yad Vashem), rileva l'assoluta irrazionalità dell'azione hitleriana. La giovane Helena confida a Schindler l'estrema ansia nella quale sopravvive, priva di qualunque certezza, giusta o sbagliata che sia; non esistono regole alle quale aggrapparsi, non comportamenti da seguire al fine di salvarsi. Illuminante, in tal senso, appare il dialogo, intorbidato dal vino, tra Göth e l'industriale: "Abbiamo il potere di uccidere. per questo ci temono" - "Ci temono perché abbiamo il potere di uccidere arbitrariamente". Arbitrariamente. tanta è la differenza che corre tra la malvagità e l'insensatezza, dettata da ordini deliranti. Destabilizzante si mostra anche il montaggio su tre livelli (Schindler durante la festa, il matrimonio degli ebrei, l'aggressione di Göth ai danni di Helena). Abbiamo due tipi di relazione ad unire le varie scene: il bacio coinvolto di Schindler alla ragazza trova simmetria con la vicinanza, poi interrotta, tra l'ufficiale e la domestica, secondo un raccordo visivo. Tra la funzione di rito ebraico e l'attacco ad Helena è, invece, un collegamento sonoro a legare lo schianto della lampadina allo schiaffo sul volto della giovane. Il montaggio alternato tra sequenze di divertimento e quadri di violenza mira ad accrescere il senso di profondo sconforto e continua angoscia nella quale languono i prigionieri. Troppo spesso, a riguardo dell'Olocausto, si è parlato di tragedia causata dalla follia umana; in fin dei conti, una sorta di assoluzione per coloro che si sono macchiati di crimini così immensi. Piuttosto, da accogliere totalmente, nei contenuti che afferra, la pertinente definizione che Hannah Arendt fa riguardo ad Adolf Eichmann e, per estensione, all'azione nazista: la Banalità del Male. Non c'è stata crudeltà insita nell'animo, ma una completa assenza di pensiero, e quindi, di discernimento che ha portato uomini comuni a commettere atti mostruosi. Inconsapevolezza che non indica squilibrio mentale, ma un preciso rifiuto alla riflessione sui propri gesti e sulle relative conseguenze. È inevitabile che la componente tematica svolga un ruolo tutt'altro che marginale nel giudizio del film, a ogni modo realizzato con magistrale perizia; d'altra parte non deve costituire un difetto la motivazione argomentativa, semmai un pregio ulteriore ad un'opera inestimabile, un capolavoro illimitato di tecnica e narrativa cinematografica, per cui la battuta di Itzhak Stern si rivela quasi allegorica esplicitazione: "La Lista è un bene assoluto. la lista è vita. Tutto intorno, ai suoi margini, è l'abisso". Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.