SCARFACE
di Howard Hawks
di Luca D'Antiga
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
"Vogliamo descrivere la storia della famiglia di Al Capone come se fossero i Borgia di Chicago", disse Howard Hawks quando decise di realizzare "Scarface", il film che, insieme a "Piccolo Cesare" di LeRoy e "Nemico Pubblico" inaugurò un filone redditizio e popolare come quello dei Gangsters-Movie, ma infondendo dalla sua la forte innovazione cinematografica e anticlassica di Hawks e del suo cinema. Non solo i Borgia, quindi, ma anche una figura "Principesca" e comunque antitetica al Male che lo rappresenta, quasi vicina a certe pagine del nostro Macchiavelli. Le variazioni dello script aggiungono molto a un film che non è forse il classico film di Gangsters tipico dell'epoca, per quanto sia pervaso da un senso opprimente e quasi inesorabile di morte (verrebbe da dire "tipica dei western" e non a caso per Hawks che è stato, tra i tanti generi che ha esplorato, uno dei più grandi registi di western della storia del cinema). Rispetto ai parametri e alla storia, il Capone di Paul Muni non viene arrestato per evasione fiscale, sciorina tutta la sua crudeltà e megalomania, ha una passione quasi incestuosa per la sorella ("Tu ed io siamo una sola cosa" le dice lei alla fine) e, ovviamente, vive oltre ogni tipo di licenza morale. Massacrato dalla Censura dell'epoca, cfr. il Codice Hays, che ne ritardò di due anni l'uscita imponendo un sottotitolo moralistico ("Shame of a Nation"), il film è un vero capolavoro del genere, cui contribuisce la performance gigantesca di Paul Muni alias Scarface lo Sfregiato (segni particolari un segno sulla guancia sinistra), ora malefico ora beffardamente glamour, dotato di un fascino cool che non è affatto invecchiato, anzi. Per certi versi tutti i gangsters movie recenti devono qualcosa a questo film, in particolare "Goodfellas" di Scorsese, sull'ascesa nella mafia americana di un "picciotto" (Liotta). Tutti sanno quanto Scorsese o Lynch siano registi contemporanei particolarmente sensibili al cinema di Huston, di Welles, e di Hawks in particolare. Il primo fotogramma di "Scarface" è in realtà un piano-sequenza già entrato nella storia del Cinema: L'Uomo che sta per essere ucciso è Big Louis e non si rende conto che qualcuno è entrato nella stanza. Dissolvenza, fasci di luce, e dopo pochi attimi si intravvede l'immagine di Muni mentre, fischiettando un tema ricorrente (come farà spesso durante le sue imprese) uccide l'uomo e si allontana. Lo spettatore ha la sensazione che non sia davvero lui l'Assassino, ma in realtà questo imput emotivo serve ad Hawks per caratterizzare l'intero film. E il film analizza da una parte la vita e le imprese di Tony Lamonte con il suo seguìto di amici fidati e non, di nemici giurati (Tom Garfrey) e amori più o meno platonici (Lovo), ma anche il mondo della Stampa con le sue discusse agiografie, o la Polizia nelle vesti dell'ineffabile Ispettore Guarino. Le azioni drammatiche, i pestaggi, gli omicidi e gli attentati avvengono ripetutamente come l'Emblema della Normalità negli anni dei Proibizionismo e nella Chicago degli anni Venti dove è ambientato il film. In un certo senso il film anticipa, con la sua abilità tecnica (cfr. su tutti, la brevissima ma molto efficace descrizione del Massacro di San Valentino) un film apparentemente molto diverso e probabilmente ancora più innovativo come il Quarto Potere di Welles. Del resto, entrambi i film raccontano ascesi e sconfitta di un Personaggio. In ogni caso, sia per le tematiche affrontate (audacissimo per l'epoca il riferimento incestuoso tra fratello e sorella, tra Tony e Cisca) che per i dialoghi, ma anche per il particolarissimo ritratto Tregendesco di un gangster, il film era davvero troppo insolito per l'epoca, e doveva avere sconvolto non poco gli spettatori di allora. Sono per esempio davvero tante le sfaccettature della personalità di Tony, che sembra credere nella lealtà più di quanto egli faccia nei confronti degli amici (cfr. arrivando per esempio ad uccidere l'amico Guino Rinaldo per gelosia nei confronti della sorella con cui si era appena sposato), che a tratti è feroce e malvagio e altrove subisce il fascino involontario di una donna di facili costumi (Lovo, fra l'altro già partner del "socio" Poppy). In un clima di autetica guerriglia urbana, i momenti di distensione non fanno altro che rafforzare la dimensione Enfatica del personaggio e del Potere che gestisce: la vita di Tony tra cravatte camice di lusso e letti comprati alle aste, l'affronto all'amico Poppy, nel dichiarare in modo troppo eloquente l'interesse per la sua fidanzata, l'interesse inedito di Tony per la commedia che va a vedere a teatro, la scena del ballo dove Tony scopre la sorella tra le braccia di uno spasimante, etc. In tutto questo c'è anche un preciso interesse a mettere alla berlina una certa Stampa che, con largo anticipo sui tempi, quasi osannava le imprese criminali dei gangsters (notevole la requisitoria del Capo della Polizia contro, appunto, il Quarto Potere che fa proseliti di un dramma sociale reale). Ciò che rende indimenticabile il film è anche la partecipazione di comprimari, e gli amabili personaggi che Hawks riesce a creare: l'ispettore Guarino, sempre più impotente nel tentativo di tendere una trappola a Tony. O il fidato Guino Rinaldo impersonato nientemeno che da George Raft, un'icona del cinema di genere anche per esperienze strettamente personali: fu amico di molti gangsters, e non a caso divenne uno dei più celebri attori del genere. O ancora Boris Karloff, nei panni di Tom Garfrey, sopravvissuto al Massacro di San Valentino, continuamente braccato dal protagonista, e infine trivellato di pallottole al Bowling in una sequenza tanto feroce quanto ironicamente beffarda (finisce steso a terra come un birillo). E, su tutti, il segretario fesso di Tony, che solo in punto di morte, per ironia della sorte, riesce a chiedere chi c'è al telefono, come se il lavoro per cui viene pagato fosse una ragione superiore alla sua sopravvivenza. Nella parte centrale del film e nel finale, la scritta che campeggia è "Il mondo è vostro - Viaggi Cook", quasi in antitesi a una modernità che celebra la fine di una certa generazione. Al di là dei topoi classici del Noir, "Scarface" è un film perfetto sotto tutti i punti di vista e basterebbero le sequenze finali, con un Muni disperato e senza armi, per capirlo: non c'è alcun tentativo di Umanizzare il personaggio, ma solo renderlo inerme e indifeso davanti alla consapevolezza della propria Morte. Per chi - come lui - era abituato a uccidere a sangue freddo, la paura di perdere qualcosa come se stesso, la propria vita, doveva essere traumatico. Hawks amava la spontaneità registica, e si vedeva: le immagini sono frutto di un montaggio veloce e diretto, le sparatoie avvengono senza artificiosità, quasi fredde nella sua ottica di violenza, e proprio per questa ragione il regista non era mai riuscito a manifestare una grande stima nei confronti dei cineasti della Nuova Generazione, come Leone, Peckinpah o George Roy Hill. Potrebbe usare il termine "improvvisazione" se non fosse che - paradossalmente - questo cinema sembra Pensato in precedenza molto più di quanto lo sia stato in realtà. In ogni caso, la "Vera storia di Al Capone", che ha suggerito a Brian De Palma un famoso remake ("Scarface", 1983, con Al Pacino) resta uno dei vertici assoluti di Hawks e forse l'interpretazione più vibrante e profonda di quel grandissimo attore che fu Paul Muni. "Scarface" è un film di una Modernità assoluta, l'equivalente nel cinema di quello che Il Grande Gatsby di Fitzgerald fu per la letteratura. Un capolavoro. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.