La recensione del film Sacro GRA

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SACRO GRA - RECENSIONE

Sacro GRA recensione
Recensione

di Sarah Farmad
[Sacro GRA recensione] - Due anni di lavoro e di osservazione delle realtà che popolano quel grande anello che circonda e racchiude in sé la capitale, il Grande Raccordo Anulare. Luogo ben noto a tutti i romani, contro il quale magari si è imprecato più di una volta a causa di un ritardo a un colloquio di lavoro o di una coda di automobili che rendeva un miraggio il rientro a casa dopo una brutta giornata. Eppure il regista Rosi, armato de "Le città invisibili" di Calvino sotto braccio, dona allo spettatore uno scenario inedito, costruendo un mosaico raffigurante un'umanità ai margini della nostra percezione quotidiana di guidatori e passeggeri distratti. I confini definiti dalla geografia del territorio reale e il suo frastuono incessante sembrano sfumare e dissolversi nella rappresentazione di questo non-luogo di passaggio, popolato da figure quasi fantasmatiche, eppure reali. Ed è così che il paesaggio si fa comune denominatore che lega insieme frammenti di esistenze così variegate: Dall'anguillaro che vive al di sotto un cavalcavia sul Tevere dedicando la propria vita alla pesca, all'erudito nobile piemontese che condivide un monolocale con la figlia universitaria, passando il tempo affacciato alla finestra, sotto la scia e il rombo degli aerei provenienti dai vicini aeroporti; Dalle prostitute transessuali che durante una pausa si fanno un panino canticchiando la Nannini al principe moderno che trasforma la sua reggia in bed and breakfast o set per fotoromanzi, a seconda delle esigenze; E ancora, il barelliere del 118, eroe contemporaneo che di notte accorre in caso di incidente e di giorno presta soccorso e conforto a un'anziana colpita da Alzheimer, per poi rientrare in una casa vuota e preparare il pasto da consumare davanti allo schermo di un computer; Infine un botanico, per cui il preservare le palme dall'invasione delle larve del punteruolo rosso diviene una guerra personale. Personaggi che sembrano quasi un'apparizione, pari all'eclissi vista dagli occhi gioiosi e speranzosi dei fedeli riuniti per l'occasione. Ma altro non sono che il frutto di una presa diretta della realtà, la loro realtà, niente più niente meno. La maestria registica sta proprio nel dotare di dignità cinematografica la monotonia della vita quotidiana senza infrangere il voto di realismo documentario con spettacolarizzazioni o virtuosismi. Il punto di vista della macchina da presa è giostrato di volta in volta con grande sapienza, mantenendo il giusto distacco e servendosi spesso di finestre e vetrine per metter in atto un gioco di riflessi e rimandi che permette di mostrare indirettamente ciò che sta al di fuori dell'inquadratura, quasi a ricordarci che essa è una cornice che racchiude solo una piccola porzione di ciò che avviene attorno. L'egregio montaggio di Jacopo Quadri, inoltre, ha permesso di concatenare e narrare questi microcosmi, riducendo la grande mole di materiale a segmenti essenziali, eloquenti e densi di significato nella loro brevità. Ciò che emerge è la solitudine di queste figure, riprodotta in modo asciutto senza patetismi e sterili convenevoli, che di fatto è la solitudine dell'uomo moderno: spaesato, immobilizzato, inglobato nel traffico di questo Grande Raccordo Anulare che è la vita. Il film, primo documentario a conquistare il Leone d'oro a Venezia, è un vero e proprio viaggio di ricerca, non così diverso in fondo dai precedenti lavori in giro per il mondo del regista, ma la sorpresa sta nel fatto che questa volta il viaggio consiste nella scoperta di ciò che abbiamo a un palmo dal naso. Bisognerebbe solo imparare a guardare. (la recensione del film Sacro GRA è di Sarah Farmad)
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