La recensione del film Rosso Istanbul

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ROSSO ISTANBUL - RECENSIONE

Rosso Istanbul recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[Rosso Istanbul recensione] - Non avere niente da dire ma credere o illudersi di avere da dire la cosa più importante e urgente del mondo e di conseguenza dirla con tutta l'enfasi che la cosa più urgente e importante del mondo richiede. Presunzione, compiacimento, autocompiacimento, estetismo fatuo. Ozpetek torna nella sua Istanbul, forse in cerca di sé stesso, forse no. In ogni caso non si trova. Autore a metà, irrimediabilmente irrisolto, eternamente incompiuto. Dopo il promettente esordio e il grande successo di pubblico, è stato tutto un dimenarsi senza che il bandolo della matassa fosse più ritrovato. Ingannevole tentativo di (auto)convincimento affinché non sorga il sospetto che l'ispirazione non abiti più qui. Tratto dal suo romanzo autobiografico (ma quale romanzo non lo è) Rosso Istanbul è una sfilata di personaggi spocchiosi e pieni di sé, dalla battuta pronta e l'espressione soddisfatta, che vanno a comporre un mondo di intellettuali, registi e scrittori ognuno con segreti indicibili alle spalle, inclini al melodramma, infelici e depressi perchè è figo esserlo, perchè si sa che il riso abbonda sulla faccia degli stolti. Allora ecco il clichè dello scrittore tormentato, di quell'altro che torna nella sua città natale con la morte nel cuore, di lei che è il grande amore mai dimenticato. Ozpetek indugia su di loro con primi piani strettissimi imbastendo un pacchiano per quanto manifesto gioco di sguardi, tra sospiri, parole sussurrate, frasi lapidarie incise nel vuoto. Ah la vita, la vita, sibila Deniz di notte davanti al Bosforo mentre una lacrima gli riga la guancia. Deniz il grande regista, Deniz che ha scritto un libro capolavoro, Deniz di su, Deniz di giù. In filigrana la fastidiosa sensazione che si annidi un'immotivata immodestia nelle pieghe del racconto per cui Ozpetek sottotraccia veicola l'idea che loro (ovvero lui e insieme a lui tutta la comunità gay ovviamente) soffrono di più perchè sono più sensibili, perchè posseggono una sensibilità più spiccata, perchè sentono, vivono e amano più intensamente degli altri. Ma non facciamo processi alle intenzioni. Rosso Istanbul rimane un film verboso, noiosamente lungo, incentrato su una sceneggiatura fumosa che perde pezzi per strada, zeppa di troppi misteri lasciati insoluti che, lungi dall'ispessire, come dovrebbero, le psicologie dei caratteri, al fine di dotare loro di quel sostrato capace di sostenerne la dimensione epica, tragica, eroica agognata dal regista, finiscono solo per ispessire in chi guarda la percezione di fuffa. E tanto basta. (La recensione del film "Rosso Istanbul" è di Mirko Nottoli)
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