La recensione del film Richard Jewell

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RICHARD JEWELL - RECENSIONE

Richard Jewell recensione
Recensione

di Mirko Nottoli
[Richard Jewell recensione] - Clint Eastwood sempre più voce della coscienza dell'America. Soprattutto questa ultima parte della sua straordinaria carriera si va configurando come una sorta di controstoria non autorizzata dell'età contemporanea, volta a mettere in luce il dietro le quinte della storia ufficiale. American sniper, Sully, Ore 15:17 attacco al treno, The mule e ora Richard Jewell. Si parte da piccoli fatti di cronaca, da persone comuni coinvolte in azioni più o meno eroiche loro malgrado, mitizzate o demonizzate dalla stampa per qualche giorno e poi accantonate. Ma è quello che rimane nella testa dell'opinione pubblica e raramente coincide con la verità. E' qui, nella zona d'ombra che sta immediatamente dietro i riflettori, che s'accende lo sguardo del novantenne regista, vero e proprio mito vivente del cinema, e Richard Jewell, in questo, è emblematico. Forse è vero che l'epoca dei grandi capolavori è finita ma ogni film di Clint Eastwood continua a rappresentare un modello, di stile, di etica, di voce fuori dal coro, di opinione partecipata, un esempio sulla necessità di prendere posizione, di superare i pregiudizi, di accettare l'altro senza per questo dover rinnegare se stessi, di smascherare le ipocrisie e le piccinerie dietro cui si nascondono i finti profeti del buonismo. L'abbiamo già scritto: in un mondo impazzito, esacerbato dal continuo bombardamento di informazioni, ammorbato da un politicamente corretto bigotto che scambia sistematicamente una battuta per un' offesa e dove un apprezzamento verso il culo di una donna può ormai valere l'accusa di sessismo e la gogna da parte dell'intero villaggio globale, Eastwood sembra l'unico in grado di distinguere immediatamente il bene dal male e posizionarsi di conseguenza. Senza troppi sofismi, senza troppe figure retoriche, senza contorti cavilli da leguleio. Come già in altre prove del regista, la struttura di Richard Jewell è esile ma la morale ineccepibile e lucidissima. Snodi narrativi e personaggi sono tagliati con l'accetta: la giornalista senza scrupoli che poi piange quando capisce di aver causato sofferenze, l'agente dell'FBI granitico, irremovibile senza motivo dalle sua convinzioni, la prova probante dell'intera inchiesta verificabile da chiunque in nemmeno 5 minuti. Lo stesso Richard Jewell è una macchietta. Il repubblicano Eastwood invece di attenuare i toni, li acuisce, descrivendo lo stereotipo dell'americano medio, nazionalista, conservatore, ottuso, sovrappeso, mammone, amante delle armi, intimamente intollerante, un potenziale gerarchetto fascista se solo qualcuno gliene desse possibilità, un individuo respingente, apparentemente senza appello. Ma la sua parabola, la parabola del povero ciccione sfanculato per tutta la vita che diventa eroe per un giorno e poi viene trasformato in un mostro, che ha sempre vissuto nel mito dello Stato e per il quale quel mito non viene meno nonostante le angherie, ingiuste, subite (i tupperware riconsegnati con sopra il numero scritto dall'FBI è una finezza che solo pochi saprebbero mettere a segno con una sola, muta, inquadratura), non può non farci riflettere e conquistarci. Nella sua ingenuità, nella sua coerenza, nella sua fede verso le regole, c'è un insegnamento talmente puro che ci commuove. Perchè noi siamo così. A noi Clint Eastwood fa piangere. (La recensione del film "Richard Jewell" è di Mirko Nottoli)
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