La recensione del film Revenant

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REVENANT - RECENSIONE

Revenant recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[****] - L'onirico apre la scena iniziale. La mdp scorre lenta tra sogno e realtà mentre la leggenda di Glass prende forma nella dolcezza del trittico familiare dormiente mentre l'inconscio emerge e scaglia ricordi ed emozioni mai dimenticate. XIX sec. le splendide foreste incontaminate dello Yosemite sono battute da cacciatori di pelli. Una lotta impari tra natura e uomo, attraverso foreste di alberi maestosi, fiumi sconosciuti, luoghi meravigliosi e insidiosi, abitati da tribù indiane spesso massacrate dagli stessi cacciatori di pellame. Le spedizioni di cacciatori in quel periodo costituivano un valido supporto per l'economia statunitense. Molti uomini partivano per la caccia, ma molti uomini non facevano più ritorno alle loro case. Hugh Glass (Leonardo Di Caprio), la guida della spedizione di cacciatori comandata dal capitano Andrew Henry (Domhnall Gleeson), è uno del posto, quasi un nativo, con un figlio mezzosangue, Hawk, avuto da una donna indiana. Glass e la truppa dei cacciatori di pelli devono vedersela con improvvisi e cruenti attacchi di guerrieri indiani. Mentre la grande preoccupazione è salvare sia la pelle che le pelli, Glass subisce un'aggressione da un orso che lo lascia dilaniato in tutto il corpo. Un uomo moribondo è un problema serio oltre che un grande ingombro per la marcia. Immobile, agonizzante, lasciato alla custodia del figlio e di altri due cacciatori, Fitzgerald (Tom Hardy) e Bridger (Will Pouter), Glass aspetta solo di esalare l'ultimo respiro. Ma, come si dice, l'uomo propone e dio dispone. Glass non morirà, anzi subirà uno dei più inumani tradimenti e sarà questa la ragione della forza vitale che lo terrà in vita per compiere la sua straordinaria vendetta. "Revenant" è diretto e scritto da Alejandro González Iñárritu, regista messicano ormai affermato su tutta la scena internazionale. Crudo realismo e scabra drammaticità si contrappongono alla nitida luce di distese innevate di un paesaggio aggressivo ed ostile. La natura è protagonista indiscussa, insieme all'uomo nella sua essenza più primitiva, nella costruzione di emozioni ed azioni. Iñárritu trionfa in una delle più superbe e straordinarie funzioni drammaturgiche per la riuscita di un'atmosfera straordinariamente reale, carica di sentimenti vitali, come l'amore genitoriale, nonché il razzismo, il tradimento, l'odio. Ma anche il rispetto per un accordo pattuito, come è stato tra il capitano Henry e lo stesso Glass. Nonché la forza incondizionata del sentimento di vendetta che anima il corpo maciullato e lo mette in piedi, lo arma di un'energia indistinta, fluida, magica. L'uomo Glass, che è diventato una leggenda, combatte il tempo, gli uomini, l'ostilità del territorio, combatte se stesso che esausto vorrebbe arrendersi, ma nel respiro ansimante si anima e trova la forza per riscattarsi. Iñárritu qui fa cinema come settima arte. Avvalendosi con estrema maestria della collaborazione di molteplici soggetti, come un direttore d'orchestra conduce i vari solisti in un'unica direzione, un unico ritmo, per raccontare una sola storia, quella di Glass, il sopravvissuto. Un'opera cinematografica classica, di alto stile, "Revenant" coinvolge lo spettatore a tal punto che si sente dentro la scena, in un gioco contrapposto di emozioni forti e straordinariamente vere. Leonardo Di Caprio recita con la mimica del visus. I suoi primi piani, assorti in un mutismo assordante, antropomorfizzano l'uomo dilaniato nei suoi dolori e sete di vendetta. Non c'è nulla fuori posto in questo film. "Revenant" è tecnicamente perfetto, epico, perfino eccellente nel supporto digitale usato a regola d'arte, con una sceneggiatura tanto essenziale quanto convincente. (di Rosalinda Gaudiano)

[*1/2] La domanda potrebbe essere: si possono realizzare due capolavori nel giro di un anno? E la risposta potrebbe essere: probabilmente no. Soprattutto dopo aver visto Revenant. Dopo il successo di Birdman, Alejandro Gonzalez Iñárritu cambia completamente verso e dallo spazio chiuso di un teatro ci porta in mezzo alla natura selvaggia e sconfinata, da un travaglio interiore prettamente intellettuale ad una lotta fisica per la sopravvivenza, da un film pensato, costruito, cerebrale, ad uno istintivo, primordiale, feroce. Si percepisce nel regista messicano, e in questo senso lo comprendiamo, la necessità di tornare a respirare a pieni polmoni, il bisogno di ritrovare una purezza e un'immediatezza di approccio che i caleidoscopici piani sequenza di Birdman avevano probabilmente appannato. La differenza è tutta lì: Birdman è un film scritto (e come scritto!), Revenant no. Per 2 ore e 40 assistiamo a Di Caprio che striscia tra i ghiacci grugnendo, mugolando, sanguinando e sbavando, attaccato prima dagli indiani, poi da un orso, poi da un suo compagno, poi da un tormenta di neve, poi ancora dagli indiani, poi ancora da una tormenta di neve (un viaggio a Lourdes, no?), fino all'agognato duello finale, avendo pronunciato non più di 10 parole scarse. All'impegno fisico che si è sottoposto per affrontare il ruolo non si può certo dire che abbia corrisposto lo stesso sforzo per mandare a memoria il copione. Gli daranno l'oscar, non fosse altro perchè questa storia dell'oscar sta diventando una barzelletta, ma non si può non notare che, quando è in scena, Tom Hardy se lo mangia senza troppa fatica, il cui sguardo allucinato non necessita di quell'overacting che il buon Leo, sempre in preda ad una sorta di trans agonistica, non riesce a superare. Che Iñárritu sia uno dei migliori cineasti in circolazione non lo scopriamo certo noi, e gli bastano poche sequenze per ribadirlo. Su tutte, quella dell'attacco dell'orso, da mozzare il respiro per l'intera sua durata. Ma è lì, a circa mezz'ora dall'inizio del film, che si esaurisce anche tutto l'interesse per Revenant. Ciò che segue infatti è un trascinarsi all'infinito, del film, di Di Caprio e nostro, tra immagini di natura maestosa, scatarramenti, assalti all'arma bianca, ferite sanguinati e putrescenti, distese di ghiaccio, musiche epiche, freddo, carni crude, sporcizia e putridume, senza che mai la sceneggiatura intervenga ad inserire un elemento funzionale per caratterizzare più a fondo un personaggio, costruirgli intorno una storia, un background tale da poterlo riconoscere e di conseguenza appassionarsi alla sua sorte (inversamente da quanto fa Into the wild, per esempio). Si possono realizzare due capolavori nel giro di un anno? Tra un mese, agli Oscar, la risposta. Noi faremo il tifo per Matt Damon e per Mad Max. (di Mirko Nottoli)
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