TOMBOY - RECENSIONE
Recensione
recensione di M.S. Sanna
Sin dai primi fotogrammi, in Tomboy è evidente una cifra naturalistica – quasi dogmatica – che caratterizza la regia di Céline Sciamma, al secondo film dopo Naissance des pieuvres – il quale fu presentato al Festival di Torino, ma mai distribuito in Italia. Le prime inquadrature mostrano una brezza che accarezza i capelli biondi e corti della protagonista, Laure (interpretata Zoé Héran) e viene voglia di far correre un'analogia tra l'azione invisibile, eppure riconoscibilissima, del vento e il tocco stilistico trasparente della giovanissima regista (classe 1980, 31 anni ancora da compiere), che accompagna in maniera non invadente né didascalica la storia, lasciando germogliare l'impressione che la vita dei personaggi si racconti da sola. Nel segno del minimalismo il tratteggio dei rapporti familiari, della vita di quartiere, dei sentimenti che uniscono i vari protagonisti della storia; allo stesso modo i dialoghi (scritti anch'essi dalla Sciamma) sono dosati con sapienza, quotidiani e verosimili, con qualche sfarfallio brillante o comico, ma privo di toni troppo accesi e di contrasti vivi. Lo stile, come lo sfondo bianco per un disegno a carboncino, lascia che la storia risalti e che lo spettatore abbia modo di riflettere sulla complessità dei temi trattati: in particolare sullo sviluppo dell'identità di genere nel corso dell'infanzia e della pre-adolescenza, sugli equilibri familiari e amicali e sul bisogno di dipingersi una maschera per essere se stessi. Con delicata spudoratezza viene posto l'accento sulle naturali inclinazioni sessuali dei bambini, che rientrano appieno nel gioco e nell'esperimento di sé, almeno finché la struttura sociale non ricade loro addosso rivestendo di senso comportamenti adottati con la più tutta l'innocenza dell'istinto. Già nel rapporto con gli altri componenti della famiglia è evidente la mascolinità di Laure: molto attaccata al padre, al punto da cercare in lui una complice solidarietà, la bambina è invece protettiva nei confronti della sorellina più piccola, dalla spiccata ed esibita femminilità, la maggiore distanza si percepisce invece nei confronti madre. È fuori casa, però, che la bambina avrà modo di sperimentare un'altra identità, un altro nome e, nei limiti del possibile, persino un altro corpo, lasciando emergere nel gioco una palese attitudine sessuata. Si tratta di un gioco ambiguo e menzognero, destinato a essere rivelato. Su questo smascheramento inevitabile, ma temuto, si gioca tutta la seconda parte del film in cui la protagonista si sente braccata dalla verità dietro l'angolo. Realista e attraversato da un ritmo leggero, Tomboy è uno sguardo più o meno malizioso sulla vita segreta dei bambini che giocano nel cortile dietro il palazzo. (recensione di Maria Silvia Sanna)