recensione di M. Nottoli
Al secondo film lo si può ormai dire: questo Sherlock Holmes è una delle invenzioni più felici, uno dei personaggi più riusciti degli ultimi vent'anni e il merito va equamente ripartito tra chi così l'ha immaginato, Guy Ritchie, e chi gli ha dato vita, Robert Downey Jr., entrambi in splendida, strepitosa forma, entrambi magicamente calibrati sulla medesima lunghezza d'onda filmica. Il personaggio di Conan Doyle ne esce stravolto ma per nulla rinnegato, ancor più fascinoso e misterioso, ugualmente invincibile ma allo stesso tempo dotato di più fragilità umane di quanto lo stereotipo saccente tramandato dalla tradizione ci avesse fatto credere. In lui convivono la mente geniale, lo sguardo febbricitante, il rigoroso metodo analitico insieme allo spirito guascone, l'atteggiamento gradasso, un'indole tendente alla depressione dietro cui balugina a intermittenza un animo sensibile e malinconico che non appena si smaschera viene subito ricacciato dentro la dura scorza del burbero cinismo. Ma il problema maggiore per un personaggio come Sherlock Holmes è che, creato il personaggio, occorrono storie all'altezza della sua fama, trame che possano rendere giustizia alla sua genialità, che gli diano la possibilità di esprimere tutto il suo potenziale. Rischio che gli autori di "Sherlock Holmes - gioco di ombre" superano mettendo a punto una vicenda di ampio respiro, complessa e articolata, sospesa tra una naiveté fumettistica e una credibile ricostruzione storica, che dalla Londra vittoriana ci conduce fino alle montagne della Svizzera passando per Parigi e Berlino, disseminando il tragitto di indizi che verranno buoni al momento opportuno. In un'Europa che già fa presagire la corsa agli armamenti che darà il via alla prima guerra mondiale, il nostro eroe se la dovrà vedere con il suo nemico giurato, il professor Moriarty, anch'egli mente iper-brillante contro il quale ingaggia una lotta per impedirgli di raggiungere i propri scopi criminali che va a configurarsi come una vera e propria partita a scacchi a distanza. Una battaglia però combattuta non solo a colpi di logica e intuizioni ma anche e soprattutto a colpi di pistola e cannonate, di cazzotti, travestimenti e corse rocambolesche. Se Robert Downey Jr ha trovato la misura ideale con cui restituire il personaggio, Guy Ritchie non gli è da meno (non ringrazieremo mai abbastanza la signora Ciccone di avercelo restituito) nel governare una macchina così sontuosa con perizia estrema su ogni dettaglio, di scenografia, di montaggio, di movimento. Agli sgoccioli del 2011 è sempre più difficile vedere sul grande schermo qualcosa capace di stupire. Guy Ritchie ci riesce con la lunga sequenza della sparatoria nel bosco, tra stop frame e accelerazioni vertiginose, tra proiettili che esplodono sui tronchi e schegge di legno che schizzano tra i nostri protagonisti in fuga. Per una Rachel McAdams che ci saluta e un Jude Law che si conferma nei panni del fido dottor Watson, new entry per un nudissimo e grassissimo Stephen Fry e per la Noomi Rapace di Uomini che odiano le donne. Alla fine la guerra pare scongiurata ma come ammonisce il temibile prof. Moriarty non è lui il nemico, è la condizione umana. Fine?
(La recensione del film "
Sherlock Holmes - Gioco di Ombre" è di
Mirko Nottoli)
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