RUGGINE - RECENSIONE
Recensione
Recensione di Mirko Nottoli
Ci si lamenta che il cinema italiano è in crisi poi ancora si spendono soldi per produrre film come questo, Ruggine di Daniele Gaglianone, pretenzioso fin dal titolo, con il sostegno di quasi tutta l'intellighenzia cinematografica nostrana, La Fandango, Rai Cinema, un parterre di attori di grido, la partecipazione al Festival di Venezia, interviste e proclami (qualcuno l'ha definito una "favola gotica"). Così qualche fesso che attirato dai grandi nomi va al cinema e paga il biglietto, lo si trova. Se poi però la volta successiva costui non si fida più di certo cinema casereccio, impregnato di impegno sociale ed elitarismo culturale posticci, e se ne va a vedere Cowboys and Aliens, non si può mica dargli torto! Sono tutti da denuncia penale: Filippo Timi con lo sguardo sbarrato, le occhiaie e i capelli in disordine, che canta a squarciagola in primissimo piano contro il sole al tramonto; Stefano Accorsi che per quasi due ore fa la lotta col figlio, rotolandosi sul letto con dei calzetti orrendi; Valerio Mastandrea al bar a pontificare sul niente in compagnia di due disgraziati che fanno d'arredamento seduti al tavolo; Valeria Solarino che è "strana" e quindi indossa un paio di scarpe da clown. Gente che, nella simbologia da psicanalista con le pezze al culo di Ruggine, ha subito un forte trauma da piccola e non si è più ripresa. Per cui ci si chiede cosa abbiano fatto costoro negli ultimi trent'anni se sono ancora a questo punto, la Solarino a ripetere come un mantra "giocare e chiavare", Mastandrea "coppola di mminchia", Accorsi a fare l'idiota nel ruolo di Black Dragon di cui imita persin le voci. Ovviamente il più da denuncia è Daniele Gaglianone, al quale auguriamo di non riprendere più in mano una macchina da presa per il resto della vita, che non capisce che un dramma di queste proporzioni non avrebbe bisogno di nessun orpello (Mystic River, Happiness , Perdona e dimentica, Little Children, non li abbiamo per
caso visti?) e appesantisce la narrazione con un armamentario linguistico-formale intollerabile, raffazzonato e retorico, fatto di continui controluce, fuori-fuoco, suoni cacofonici a base di rumori metallici e stridenti. Banale prosopopea priva di fondamenta che ingenuamente vorrebbe acuire il pathos e invece produce solo noia e fastidio. Non vi è una sola situazione credibile, non una sequenza, non una faccia giusta al posto giusto (a proposito: perché Mastandrea da piccolo sembra Stefano Ricucci?). Tutto è sovra-recitato e sovraesposto, tutto annega in un mare di convenzioni e stereotipi innaturali da recita scolastica, a cominciare dall'imbarazzante siparietto del consiglio di classe che sembra improvvisato lì seduta stante, per finire con la tesi di fondo che Ruggine vuole smerciare sotto forma di denuncia classista e razziale, in un quartiere periferico della Torino anni '70 popolato da emigranti del sud, secondo cui, "il mostro", "l'orco", un Timi, ribadiamolo, da 10 anni di fucilazione alla schiena, che avvicina le bambine e le uccide brutalmente, non verrebbe sospettato in quanto "medico", in quanto personalità stimata dal resto della comunità. Poco importa se lo stesso medico, tal dottor Boldrini, abusa della bambine in pieno giorno, si cala le braghe dove chiunque può vederlo, dà di matto anche di fronte alle pazienti, sbraita da solo e inneggia a Hitler, tanto basta additare al solito presunto e generico perbenismo medio-borghese interessato solo alle apparenze. Raramente si è vista una peggiore direzione degli attori, una tale incapacità di rappresentazione, una tale mancanza di gusto e di misura nel trattare un argomento che necessiterebbe di un bisturi e invece si va giù di vanga convinti che sia un bisturi. Avevamo storto il naso di fronte a Ezio Greggio che apriva il Festival di Venezia ma dopo aver visto Ruggine, 10, 100, 1000 Box Office 3D!