recensione di M. Santello
Alexander Payne è uno dei registi più talentuosi del panorama indi americano. Lo ha dimostrato con "A proposito di Schmidt", in cui Jack Nicholson era un burbero neovedovo in cerca di sé e, ancor di più, con "Sideways", squisitissimo film on the road sull'amicizia e sulla vita. Fin da subito corteggiato sia dall'academy che dagli assegnatari dei Golden Globe, anche con questo ultimo titolo ha centrato i gusti dei giurati. E non c'è da stupirsi. "Paradiso amaro" è un film che più americano non si potrebbe. Ambientato alle Hawaii, da cui il paradiso del titolo italiano, il film racconta di un avvocato, agghindato con improbabili camicie a fiori, (George Clonney) che deve disporre della vendita di un grosso appezzamento di terra lasciato in eredità dai suoi antenati. È in procinto di prendere una decisione definitiva proprio nel momento più difficile della sua vita: l'adorata moglie è in coma in seguito ad un incidente nautico e rischia di non risvegliarsi più. Così deve fare i conti con le due figlie ribelli – una delle quali interpretata dalla bravissima Shailene Woodley – e con un'incredibile rivelazione: la moglie lo stava tradendo. Affrontare malattia, tradimento e gli strascichi dell'appartenenza ad una terra non è semplice e richiederà lo sforzo di tutti i componenti della famiglia; con l'aggiunta ironica del ragazzo della figlia, teenager senza né arte né parte che li segue da vicino ovunque vadano. Grazie anche a questo espediente "Paradiso amaro" riesce a restare in equilibrio tra dramma e commedia come non molti film sanno fare. In un'atmosfera a metà strada tra John Fante, Mike Binder e John Steinbeck, contrappuntato da musiche isolane fin troppo insistite, la storia scorre che è un piacere. La sceneggiatura, in particolare, è impeccabile, calibrata e coi piedi per terra fino alla perfezione e senza mai che venga detta una frase di troppo. Non a tutti però piacerà l'interpretazione di George Clooney, convincente nei frangenti ironici ma meno in quelli drammatici. Anche qualche soluzione registica lascia un po' interdetti, come il voice over inziale e qualche scena madre non necessaria, ad esempio il pianto della figlia sottacqua. "Paradiso amaro" si lascia vedere ed è un buon titolo nella filmografia di Payne, ma, a dirla tutta, con la sua smania di piacere finisce per non toccare nel vivo. Sembra quasi come se il suo voler stare dentro il seminato non abbia dato spazio sufficiente all'emersione del dolore autentico. Ma forse è proprio quest'ultimo che sarebbe dovuto essere il centro delle attenzioni del regista.
(La recensione del film "
Paradiso Amaro" è di
Marco Santello)
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