MIRACOLO A LE HAVRE
Recensione
recensione di R. Gaudiano
Il cinema di Aki Kaurismaki ("La fiammiferaia-1989", Juna-1999, L'uomo senza passato-2002, Le luci della sera-2006) narra un mondo incerto, inquieto, con uno stile classico, fatto di annotazioni puntuali, un cinema libero, spregiudicato, che tratta temi importanti, crisi generazionali e valori umani e morali, anche in una dimensione apparentemente allegra, che poggia invece su un notevole spessore antropologico. "Miracolo a Le Havre" è appunto l'ultimo lavoro di Kaurismaki come regista, sceneggiatore, montatore e produttore. Marcel Max (Andrè Wilms) è un ex scrittore bohémien, in esilio volontario nella città portuale di Le Havre, in Normandia. Marcel per sbarcare il lunario fa il lustrascarpe, ha una moglie Arletty (Kati Outinen), purtroppo gravemente ammalata, ed è assiduo frequentatore di un bar del quartiere dove abita. Vita quasi monotona quella di Marcel, fino al giorno in cui compare Idrissa (Blondin Miguel), un piccolo profugo arrivato dall'Africa. Con Idrissa, Kaurismaki affronta tematiche umane e morali legate al fenomeno dei profughi, lasciati spesso nell'indifferenza, nell'inadeguatezza di ogni forma di giusta e corretta accoglienza. Ma non è solo questo "Miracolo a Le Havre". E' anche uno spaccato umano e sociale di una comunità di pescatori sulle rive della cittadina di La Havre, dove il sentimento di fratellanza anima la dinamica dei rapporti fra le persone, dando forza ed intraprendenza a Marcel che vuole aiutare a tutti i costi il piccolo Idrissa. Questo nobile sentimento riesce anche a rendere insubordinato alle regole l'integerrimo ispettore Monet (Jean-Pierre Darroussen), conquistato dalla volitiva caparbietà di Marcel. Una speranza, dunque, che i miracoli possano avvenire, come nella storia di quest'ultimo film del regista finlandese, narrata all'insegna dei nostalgici anni cinquanta. Una connotazione scenica vintage ben orchestrata, con uno stile comunicativo caratterizzato da intensi contrasti di luce, luce espressionista, con luoghi in ombra, tagliati da luci trasversali ed una cinepresa che scandisce quadri di sequenze sublimi, espressioni di volti, di sguardi intensi, di silenzi verbali, in affreschi consolatori di saturi colori pastello. Le varie dimensioni della vita si confrontano in quest'ultimo Kaurismaki: realtà, speranza, illusioni, paure, sogno e… la possibile, impossibile attuazione di un miracolo. Poetica e stile di codici comunicativi sono i punti forza di "Miracolo a Le Havre", marcando l'intensità della libertà creativa del cineasta finlandese, fino a restituirgli la sua indiscussa originalità e differenza tra i registi del cinema europeo contemporaneo. Il finale del film ha la stranezza di un sogno, un bel sogno, che trionfa nella mano di Marcel: il pacchetto contenente il vestito giallo per la sua Arletty, da lui accuratamente confezionato.
(recensione di Rosalinda Gaudiano)