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J. EDGAR - RECENSIONE
J. Edgar recensione
Recensione

recensione J. Edgar
J. Edgar Hoover ovvero 50 anni di storia americana che é come dire 50 anni della nostra storia. Otto presidenti, la minaccia del comunismo, la minaccia delle minoranze, l'assassinio di Kennedy, l'assassinio di Bob Kennedy, l'assassinio di Martin Luther King, la morte di Marilyn Monroe, la sua relazione con Kennedy, Al Capone, John Dillinger, il rapimento del figlio di Linbergh. J. Edgar Hoover ha attraversato tutto questo da direttore dell' FBI, dall'età di 24 anni, quando fu nominato (pro tempore!) fino alla morte, facendo del Bureau quello che conosciamo, introducendo nuovi e innovativi sistemi investigativi, anticipando i RIS, capendo, come Andreotti dopo di lui, che l'informazione è potere (i mitici "dossier confidenziali"), creando un apparato paragovernativo capace di tenere in scacco capi di stato e primi ministri. Unico obiettivo: proteggere gli U.S.A. Alle prese con una delle figure più dibattute della storia recente, emblema delle tante contraddizioni che permeano gli Stati Uniti, Eastwood procede con la consueta sicurezza di chi conosce i traguardi da raggiungere, accenna, sorvola, lascia intuire, servito dall'ottima partitura narrativa sceneggiata dal premio Oscar Dustin Lance Black che dopo Milk si misura con un altro biopic "politico", spezzando il continuum cronologico con ripetuti salti avanti e indietro nel tempo. La volontà di non offrire giudizi morali è chiara. Eastwood non vuole schierarsi pro o contro ma darne un ritratto il più obiettivo possibile, da un lato descrivendone il carattere ostinato e risoluto che l'ha portato ad innegabili successi forgiati su principi anche in parte condivisibili (e che Eastwood, in parte, condivide), dall' altro soffermandosi su alcune convinzioni dell'uomo tanto radicate da farlo apparire al limite dell'ottuso, ossessionato – ad esempio - dai comunisti come forse solo, oggi, Berlusconi (con la differenza che forse Hoover era sincero mentre per Berlusca è solo opportunismo). Ma ancora più dell'uomo Hoover, a Eastwood interessa il tempo presente e allora Hoover diventa una straordinaria lente deformante per capirlo e ancora meglio interpretarlo. Chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando sono le domande che sottendono, sottaciute, l'opera. L'incomprensibile conservatorismo di Hoover è lo stesso conservatorismo che a ondate sempre si riaffaccia e che oggi minaccia la rielezione di quel Barack Obama che fino a un paio d'anni fa doveva essere l'uomo del cambiamento. Il principio che muove Hoover è il dilemma etico su cui nessuna giurisprudenza potrà dare risposta, quello che da sempre interessa filosofi e romanzieri e riguarda il processo alle intenzioni, i reati di opinione, la cattura preventiva: chi trama per rovesciare la democrazia è perseguibile oppure no? Arrestare un omicida prima che commetta il fatto è ammissibile oppure ci vuole il morto? Luci e ombre, interrogativi che J. Edgar pone e sonda in maniera problematica e costruttiva, come monito a non sottovalutare e a non dare nulla per scontato. È piuttosto sul versante privato, e cioè sulla presunta omosessualità del protagonista, che il film di Eastwood rischia di sbandare, in bilico sul fare di Hoover la solita macchietta di omosessuale frustrato, legato da un rapporto morboso con una madre severa e intransigente. Ad interpretarlo un Di Caprio al quale vogliamo bene ma che così conciato non si può guardare, al punto da chiedersi che senso abbia scritturare Di Caprio per poi trasformarlo in un signore brutto, vecchio e grasso. E qui tocchiamo il vero, magari veniale, tasto dolente della pellicola: il trucco. Di Caprio truccato da Hoover vecchio, sembra Philip Seymour Hoffman vecchio. Armie Hammer, braccio destro di J. Edgar e presunto amore della sua vita, con una colata di cera persa sulla testa, assomiglia ad uno dei vecchietti del Muppet Show. Si salva solo Naomi Watts con o senza rughe posticce. A Di Caprio diciamo: che gli diano l'Oscar una volta per tutte e che cominci a divertirsi un po' (tanto se continua così, che è (stato) bello non se lo ricorderà più nessuno). (La recensione del film "J. Edgar" è di Mirko Nottoli)
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