IL VILLAGGIO DI CARTONE
Recensione
recensione di R. Gaudiano
Scriveva così, sulla Domenica del Corriere il 15 ottobre del 1968, Indro Montanelli "… l'unica vera grande avventura nel nostro mondo occidentale è quella di Cristo il quale dette all'uomo la consapevolezza del Bene e del Male, e quindi il senso del peccato e del rimorso. In confronto a questa, tutte le altre rivoluzioni - compresa quella francese e quella russa - fanno ridere". Ermanno Olmi riprende, nel suo ultimo lavoro di regia e sceneggiatura "Il villaggio di cartone" temi legati alla religiosità, alla religione, alla carità cristiana, questa volta però con un forte sentimento critico nei confronti della "chiesa". La chiesa, con le sue strutture e sovrastrutture, che Olmi spoglia dei suoi simboli rappresentativi, cambiandole il vestito delle cerimonie liturgiche, degli altari dorati, addobbati con tovaglie bianche e nitide ornate da merletti pregiati, con ornamenti umani, gente che lì, tra le mura di quella chiesa, chiede rifugio e conforto, improvvisando, per ripararsi, un villaggio fatto con cartoni. Un vecchio prete (un bravissimo Michael Lonsdale) assiste senza nessun potere alla chiusura della sua chiesa, dove per tanti anni ha avuto il ruolo di parroco. Le pareti vengono denudate, gli oggetti di culto ammassati ed il grande crocifisso che dominava il luogo del Signore, staccato dalla sommità del soffitto e portato via. Quando tutto sarà finito, il "saccheggio" avrà lasciato un vuoto doloroso, con le pareti nude e l'altare spoglio come un sepolcro. Il vecchio parroco malato, colpito nel suo intimo più profondo metterà a nudo le sue miserie e soprattutto riaffiorerà implacabile per lui l'ombra del dubbio, che mai lo ha abbandonato. Ed in quella chiesa, ormai spazio franco, trova rifugio un gruppo di immigrati clandestini che hanno sfidato il mare per un domani più dignitoso. Gente preda della miseria, gli immigrati di Olmi rappresentano umanamente quel Cristo impacchettato, per il quale l'umanità che segue il Suo Vangelo e la Sua parola deve agire in conformità. Carità ed accoglienza cristiana! Il credo religioso, la morale religiosa, la carità e la fratellanza cristiane si confrontano e mediano compromessi con chi rappresenta la legge e deve farla rispettare. I dialoghi muti, fatti di sguardi, di volti disperati, ci riportano al dinamismo arcaico del bene e del male, a ciò che è giusto e cosa non lo è. Erede del neorealismo di quegli anni sessanta, Ermanno Olmi si propone ancora come il poeta del silenzio e dei timidi. "Il posto", "L'albero degli zoccoli", come quest'ultimo "Il villaggio di cartone", raccontano storie di vite umane, fatiche, miseria e fame. Olmi è un cineasta che appartiene alla vecchia guardia dei registi italiani ma, nonostante questo, il suo sguardo è pregno di lucidità e onestà verso la società attuale, carica di problematiche scottanti che rischiano di mettere tutta l'umanità in ginocchio. Che sia l'umanità a "fare" la storia e non la storia a cambiare l'umanità tutta. "Il villaggio di cartone" è un film che induce a momenti di intima riflessione, di confronti interiori aspri e veritieri, a monologhi soggettivi che riflettano sull'alterità in senso generale e sincero. Ed il monologo del vecchio prete morente, in una performance magistrale di Lonsdale, ne è un esempio. (recensione di Rosalinda Gaudiano)