I BAMBINI DELLA SUA VITA
Recensione
recensione di E. Lorenzini
La ricerca delle radici è un evergreen, al cinema: uno di quei fili conduttori a lunga conservazione e talmente versatili da scongiurare il pericolo noia. Però, a volte, un buon tema non basta. Proprio perché stravissuto e abusato, il leitmotiv del/la ventenne con temperamento cupo e poca cronistoria familiare che si lancia alla ricerca del padre, andrebbe condito con particolare perizia e sensibilità. Con "I bambini della sua vita", il regista sardo Peter Marcias azzarda una corsa sul viale dei ricordi che non ha la giusta riserva di fiato per tagliare il traguardo. Dietro la storia fumosa di Alice, figlia di nessuno in una Cagliari tentacolare e mitologica, c'è sì un rosario di vite storte e sofferenti aggrovigliato quanto basta per creare quella suspense malinconica da memory tell. Però manca spessore a tutti i livelli: narrativo, estetico, caratteriale. Ipotizzare che l'ambiguo Julien sia il padre perduto di Alice; commuoversi o arrabbiarsi per la vita sfatta di Silvia, madre tossica della ragazza; assopirsi nel via vai epistolare di ricordi, amori ed errori; sono tutte azioni inevitabili. Ma insufficienti ad appassionare lo spettatore. Invece di restarsene sospeso in un limbo figurativo fatto di poche pose concrete e di troppi silenzi, piuttosto che insistere sulla rarefazione della trama e sulla discontinuità temporale, Marcias avrebbe forse dovuto plasmare la sua apologia di una Sardegna misterica e sanguigna con un gusto maggiore per la vita, per le sue verità dichiarate, per il sudore, le lacrime, le parole urlate e le ferite aperte. Non basta appiccicare un'espressione assente al viso di una ragazzina per lasciar intuire il suo disagio. Non basta abbozzare il ritratto di un'umanità interrotta e disamorata per averlo in una versione viva e convincente. E non basta la recitazione di Piera Degli Esposti a farcire di senso e di intensità una pellicola di novanta minuti. Resta lodevole il tentativo di coniugare la descrizione di uno spazio culturale così tipico come la città di Cagliari con un ventaglio di tipi umani e di stereotipi narrativi a loro modo universali. Se si fosse dato a questi personaggi un grammo di saudade sarda in più, forse il risultato sarebbe stato diverso. (recensione di Elisa Lorenzini)