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recensione Hunger] - Irlanda del Nord, 1976-1981, nella prigione "Maze" di Long Kesh, ai detenuti militanti dell'IRA non viene riconosciuto dal governo britannico lo status di "prigioniero politico". A questo rifiuto seguono proteste di varia natura da parte dei prigionieri, da quella delle coperte a quella dello sporco, finanche a quella della fame. Sarà Bobby Sands (Michael Fassbender), leader dei militanti IRA all'interno della prigione, a proporre e a dare personalmente inizio alla stessa. Morirà di inedia 66 giorni dopo. Steve McQueen, che il pubblico italiano ha conosciuto con la sua seconda opera Shame, è prima di tutto un'artista, un creativo della video-art. Dunque, se lo spettatore deciderà di confrontarsi con questa sua prima liason col lungomentraggio dovrà tener fortemente presente che quanto sta per vedere non è un documentario e sostanzialmente nemmeno un film: ma un consistente susseguirsi di dettagli e particolari, brutali e romantici allo stesso tempo, che ne metteranno alla prova sia l'attenzione che il piacere di guardare. Hunger può essere diviso sostanzialmente in tre parti: la prima mostra il carattere della ribellione delle coperte e dello sporco intrapresa dai prigionieri di Long Kesh; la seconda è costituita da un piano sequenza di 22 minuti di dialogo, di cui 17 con camera fissa; la terza mostra la lenta e angosciante agonia del protagonista che si avvia verso la sua morte all'età di 27 anni. Da artista, McQueen ha deciso di raccontare la storia dal punto di vista dei combattenti; le leggi, la politica trapassano il film con dei radi voice over. La cosa importante è la poesia delle immagini, che lascia poco spazio ai dialoghi, e decide di strafare coi dettagli, con la fotografia usata egregiamente, con la regia che si arroga il diritto di fare similitudini e metafore. Noi non vediamo né il Bobby Sands eroe e martire, né il Bobby Sands vittima e carnefice di sé stesso: noi assistiamo all'ordinarietà e alla straordinarietà della vita di un uomo che ha combattuto tenacemente e irresponsabilmente per difendere le proprie idee a discapito della vita stessa, unico bene che democraticamente dovrebbe spettarci di diritto. Indubbiamente il film risente anche della scrittura di Enda Walsh, che è un drammaturgo e non uno sceneggiatore, che immerge lo spettatore all'interno del testo filmico e riesce – nonostante i radi dialoghi – a convincerci che le parole, a volte, son solo rumori che cercano di distrarci da ciò che potremmo vedere. La forza del film è la sua aggressività, la violenza delle immagini, la nudità dei corpi che perdono il loro spessore erotico e si trasformano in semplici mezzi da torturare o da mostrare in tutta la loro vulnerabilità. A completare il quadro uno straordinario e immaginifico Michael Fassbender che per il ruolo di Bobby Sands ha perso 17 chili e ha vinto il premio per la migliore interpretazione al British Indipendent Film Awards, al Chicago International Film Festival 2008, al London Critics Circle Film Awards 2009 e al BIFA 2009. E' il minimo.
(La recensione del film "
Hunger" è di
Francesca Casella)
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