Il personale omaggio al Cinema di Martin Scorsese, cineasta ma prima di tutto appassionato ed enciclopedia vivente della settima arte, è un viaggio immaginifico in un mondo scomparso, reinventato, forse mai esistito, nelle viscere fumose della stazione di Parigi negli anni '30, dietro a orologi da cui guardare la Tour Eiffel, dentro a ingranaggi meccanici la cui ingegnosità sa creare meraviglia, come e forse più della tecnologia digitale d'oggi giorno. In un mondo ancora analogico anche il cinema era analogico ma non per questo meno magico. Anzi, è proprio in quel periodo, e grazie al lavoro dei pionieri che l'invenzione "senza futuro" dei fratelli Lumière comincia ad essere l' incarnazione di quella "fabbrica dei sogni" che le rimarrà appiccicata addosso come un epiteto per sempre. E non è un caso se nel rendere omaggio al Cinema, degli esordi e di tutti i tempi, Scorsese sceglie di seguire le orme di George Méliès piuttosto che quelle dei fratelli Lumière. Sceglie il filone fantastico piuttosto che quello realistico, un dualismo col quale si potrebbe dividere il creato. Sceglie di ricorrere al 3D, l'equivalente "meraviglioso" moderno degli effetti speciali che artigianalmente andava sperimentando Méliès con la sua macchina da presa: apparizioni, sparizioni, zoom, mascherino, stop motion, montaggio. La resa oggi è sicuramente migliore ma in linea teorica non ci siamo spostati di tanto. La dichiarazione di Scorsese è una dichiarazione d'amore totale, per il cinema e per le arti in generale. Hugo Cabret ci parla di Méliès ma cita direttamente e indirettamente i Lumière, Harold Lloyd, Buster Keaton e Charlie Chaplin, Assalto al treno e Douglas Fairbanks. Ma sottolinea allo stesso modo il legame indissolubile tra il cinema e le altre arti, la letteratura prima di tutto, poi le arti visive, la musica, il teatro, il circo, la magia. La matrice infatti è letteraria, ovvero il romanzo omonimo, scritto e illustrato da Brian Selznick, e se il cognome vi dice qualcosa non è una semplice coincidenza essendo il nipote proprio di quel Selznick, il produttore di Via col Vento per intenderci e di un'altra manciata di pellicole immortali. Tutto torna dunque, tutto quadra, tutto è interconnesso, come in un ingranaggio dove ogni dente di ogni ruota dentata ne fa muovere un'altra e poi un'altra e poi un'altra ancora. Collega i punti, diceva poco tempo fa un tizio che di tecnologie e di invenzioni e di stupore se ne intendeva. Nella macchina nessuna parte è superflua - dice invece il piccolo Hugo Cabret - pertanto, se il mondo fosse un gigante ingranaggio vorrebbe dire che nessuno di noi è superfluo. Scorsese si abbondona all'innocenza fanciullesca con una favola lieve e malinconica, forse sommaria ed eccessivamente didascalica nella ricostruzione storica, a tratti velleitaria nell'inseguire la Poesia, con un happy end tanto radicale quanto conscio che l'happy end esiste solo al cinema. 11 nomination agli Oscar in cui se la vedrà con l'altro pretendente più accreditato, The Artist, per un'edizione che si presenta, inaspettatamente, all'insegna della celebrazione del passato.
(La recensione del film "
Hugo Cabret" è di
Mirko Nottoli)
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