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FRIGHT NIGHT - RECENSIONE
Recensione

recensione di Elisa Lorenzini
Vedendo "Fright Night", la prima cosa che viene da pensare è: Colin Farrell doveva iniziare a recitare la parte del vampiro molto tempo fa. Altro che supereroi epici, Nuovi Mondi e agenti infiltrati in quel di Miami. Il profilo migliore per il protagonista di "Alexander" e "The New World", che tra tanti ruoli medio-bassi aveva già sfornato una performance niente male nel tormentato e sulfureo "Sogni e delitti" di Woody Allen, è ufficialmente quello dell'irriverente, provocatorio e sensuale succhia sangue. Nel remake di "Ammazzavampiri" (1985, regia di Tom Holland) firmato da Craig Gillespie, Farrell è l'ambiguo vicino di casa del giovane Charlie Brewster, studente senza arte né parte che la fortuna ha eletto tra i più popolari della scuola, nonché neo boyfriend di una bellissima tra le belle. Ma, come spesso accade quando il ruolo del protagonista è un pretesto per giustificare il contesto, più che all'umile Brewster la palma di primo attore spetta al suo pallido vicino. E' il personaggio di Jerry, miscelato con lungimiranza e perfetta conoscenza della materia vampiresca, fotografato in una posa un po' ammiccante un po' clownesca un po' luciferina, la vera anima del film. Ed è una lettura del prototipo draculiano, quella che Gillespie deduce dall'originale di Holland, che si attaglia alla perfezione alla verve sexy-istrionica di Colin Farrell. La storia imbocca il genere horror, diffondendo suspense e tenebre q.b., ma non lo abbraccia mai del tutto: rimane sospesa tra la narrazione di genere e la sua contestazione, sposando in più punti la commedia. Acclamato dalla critica USA, "Fright Night" non accusa troppo la scelta di uno scenario da middle class americana che sembrerebbe patria esclusiva di teen movie, commediole e, tutt'al più, film di denuncia psico-sociale alla "American Beauty". In un plastico fatto di casette a schiera con giardino e balli studenteschi, non stonano la caccia al sangue
e i delitti efferati. Forse perché evocano gli orrori quotidiani della realtà, quei fattacci che affollano le cronache di piccole e medie cittadine sbiadite in un tranquillo anonimato geografico. Lontano dal romanticismo stucchevole dei vampiri adolescenti di "Twilight", il film di Gillespie trova una sua identità proprio nella dissacrazione di certi, abusati stereotipi sul fascino ombroso del popolo della notte. Merito, in gran parte, del fascino realmente ombroso del suo protagonista.



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