recensione di M. Nottoli
Il messaggio sembra solo uno: non fate figli! Per le coppie che hanno intenzione di procreare, per chi è già in dolce attesa, per chi ci sta provando, per quelli che vanno al family day, per quelli che "i figli so piezz e core" a tutti costoro consigliamo: evitate con cura E ora parliamo di Kevin, potrebbe essere una mina alle vostre convinzioni più ferree. Opera agghiacciante per la crudezza del fine e per l'inesorabilità con cui lo persegue, E ora parliamo di Kevin, della semi esordiente ma già acclamata Lynne Ramsay, non offre giustificazioni, né scuse, né compromessi. E la voce che sentite all'orecchio è appena sussurrata ma chiara e categorica: in quella situazione ci potrebbe essere ognuno di voi. Una situazione che non prevede salvezza, dove non c'è scampo né alcuna possibile via di fuga. Capiamo che avere come genitori Tilda Swinton e John C. Reilly possa essere per un ragazzino già "difficile" alquanto problematico, ma a parte questo, quello che il film ti sbatte in faccia è l'impotenza più assoluta, più irragionevole e destabilizzante. Un bambino che è tuo figlio solo per l'anagrafe. In realtà è un alieno, un estraneo, un mostro venuto da chissà dove che non riconosci e che non ti riconosce, un concentrato di malvagità, rabbia e dolore indecifrabile, il cui unico scopo pare quello di rovinarti la vita, che odia il mondo e odia te per prima, per il solo fatto di averlo concepito. Risuonano echi di Omen il presagio ma è solo un cercare un appiglio fatuo. Perché appigli cui aggrapparsi non ce ne sono: non c'entra il demonio, l'anticristo, non c'entrano traumi infantili, mancanze materne, debiti affettivi o cause pedagogiche. E' solo l'imperscrutabile casualità del destino che riduce un'esistenza ad una serie infinta di frammenti, di ricordi rivissuti e distorti in infiniti flashback impossibili da riordinare, brani di realtà centrifugati da una mente che non può darsi pace e che trasforma ogni evento del quotidiano in un incubo, onirico e delirante. Inutile chiedersi perché, quali errori, quali sbagli. Sopravvivere diventa la punizione più iniqua e l'unica conclusione possibile del dissennato disegno. Attraverso una messa in scena implacabile, di un realismo che in quanto realismo sa farsi ancora più spaventoso, Lynne Ramsay ci mette difronte all'insensatezza della follia umana in un modo che fa impallidire perfino un film come Funny Games. L'impassibile espressione di Kevin e il suo sguardo glaciale rappresentano lo spot più efficace contro la crescita demografica.
(La recensione del film "
E ora parliamo di Kevin" è di
Mirko Nottoli)
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