CAVALLI - RECENSIONE
Recensione
recensione di E. Lorenzini
Non si sa bene perché, ma se invece di "Cavalli" questo film si fosse intitolato "Horses", sarebbe suonato meno ridicolo. Probabilmente perché il far cinema oltreoceano, vuoi o non vuoi, riesce (quasi) sempre meglio che a noi. E anche una tirata leziosa e anacronistica sulla bellezza della natura incontaminata e sulla vita semplice e sana di tempi ormai tramontati avrebbe avuto un quid, una ragion d'essere, una logica estetica. L'opera prima del giovane Michele Rho, invece, che pure conta su un buon cast e su una fotografia fascinosa, si scontra con i limiti del nostro immaginario cinematografico e con le insidie della retorica. La storia è da feuilleuton: in un paesino abbarbicato sugli Appennini, intorno alla metà dell'Ottocento, due fratelli opposti per carattere e vocazione perdono la madre, vengono cresciuti da un maniscalco e condividono la passione per i cavalli. Fine del film. Trama filiforme, overdose di atmosfere crepuscolari da country novel, amore&melassa quanto basta. Peccato, perchè lo spunto sdolcinato poteva essere adattato a una sceneggiatura più audace, più introspettiva, meno blasè. Peccato, perchè Vinicio Machioni e Michele Alhaique hanno due volti spigolosi e non banali e un modo di entrare nel personaggio che non motteggia e non eccede. Resta lo scoglio del debutto: quella pietra angolare della vita e della carriera di un apirante cineasta che può essere aggirata con maestria, glissata con nonchalance o centrata in pieno, con tanto di lamiere contorte e sirene ululanti. Facile affidarsi alla pedana di lancio di un romanzo omonimo (di Pietro Grossi) per cavalcarne (è il caso di dirlo!) gli scenari fiabeschi. Meno facile è emergere dalla citazione letteraria con un prodotto cinematograficamente adulto, convincente.
Andrà meglio la prossima volta. Chissà.
(recensione di Elisa Lorenzini)