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CARNAGE - RECENSIONE
Recensione

recensione di M. Nottoli
Un'inquadratura fissa, Manhattan sullo sfondo, un parco, un gruppo di bambini, un bambino che ne colpisce un altro al volto con un bastone, musica, silenzio. Fin dalla prima scena Carnage rivela la sua natura teatrale, testo scritto da Yasmina Reza (Il dio del massacro, edito da Adelphi) già celebrata autrice di Arte, altra pièce di enorme successo. Questo è il La da cui si sviluppa tutta la vicenda successiva. Nella scena seguente infatti troviamo i quattro genitori riuniti per discutere dell'accaduto e da lì non ci muoveremo più. Il clima è inizialmente conciliante. Del resto, è tutto chiaro, per una facezia del genere!, ci si scusa, si organizza una stretta di mano fra i ragazzi e pace è fatta. Siamo persone adulte e mature, sono cose che capitano tra ragazzini. Poi però capita che una parola tira l'altra, un'allusione male interpretata, un lapsus, un'insinuazione che suona come un'accusa. Ci vuole poco a scalfire una facciata di buone maniere solo apparente. Perché nonostante la civilizzazione sono Ivanohe e John Wayne, è sempre la legge della giungla a governare il mondo, oggi come 10mila anni fa. Scoperchiato il vaso di Pandora, sciolti i freni inibitori, fuoriescono rancori assopiti e recriminazioni, presunzioni fallaci e debolezze, insoddisfazioni e fallimenti personali e professionali. Abile nel mettere in scena una situazione che va via via degenerando, dalla tensione e dall'imbarazzo che si tagliano col coltello, a discapito del film bisogna dire che la stessa situazione appare talvolta forzatamente indotta (per tre volte se ne stanno per andare e per tre volte rientrano quando sono già sulla porta dell'ascensore) e la recitazione, soprattutto del reparto femminile, tende almeno nel finale all'isterismo affettato. Tuttavia mano a mano che il dialogo avanza e avanzando sprofonda, Carnage mette a nudo tutta la miseria dell'animo umano, tutta la menzogna della sua superiorità, la reale inconsistenza del benessere raggiunto. Il grande avvocato (Christoph Waltz) cinico e assente che discute dei massimi sistemi al suo inseparabile cellulare, la moglie (Kate Winslet) che mal lo sopporta ma non disdegna nemmeno di fare la bella vita, la scrittrice fallita (Jodie Foster) che si batte per il Darfur stando comodamente a casa, il bonario venditore di pentole (John C. Reilly) dal viso pacioso che nel profondo forse cela un'indole violenta e squadrista. Non dobbiamo guardare lontano, siamo noi quelli. Alla staticità dell'ambientazione risponde la dinamicità del discorso, dei botta e risposta, dei continui capovolgimenti di fronte degli astanti le cui alleanze mutano inaspettatamente. Il quartetto d'attori, tra cui il nostro personalissimo premio va a Christoph Waltz, si scambia battute come se stesse eseguendo una sinfonia musicale, precisa, armonica, diretta da quel Roman Polanski che in materia di drammi claustrofobico/esistenziali rinchiusi in spazi ristretti, sa il fatto suo. Il quale dopo le sceneggiate, i pianti e le grida, dopo i conati, le sbornie e i gesti inconsulti, ci riporta con l'ultima scena da dove eravamo partiti. Un'inquadratura fissa, Manhattan sullo sfondo, un parco, un gruppo di bambini. Ed è la lezione che tutti ci meritiamo. (recensione di Mirko Nottoli)




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