ALMANYA - RECENSIONE
Recensione
recensione di F. Rinaldi
Yasemin Samdereli è alle prese con il suo primo lungometraggio, eppure guardando Almanya – La mia famiglia va in Germania, non si direbbe affatto. C'è qualcosa che colpisce fin da subito, e va oltre i soliti artifici registici del caso; è l'estrema semplicità e purezza con cui viene raccontata questa storia fatta di ricordi e speranze.
Protagonista del film è la famiglia Yilmaz, emigrata in Germania dalla Turchia negli anni '60. Nel secondo dopoguerra, le aziende della Repubblica Federale Tedesca necessitavano di manodopera. La guerra stroncò le vite di molti uomini chiamati al fronte, provocando il dimezzamento della popolazione maschile. Per sopperire a tale richiesta, vennero stipulati dei patti con diversi Stati, tra cui anche la Turchia. Ed è proprio così che inizia la vicenda di Huseyin (Vedat Erincin), patriarca della famiglia Yilmaz, arrivata ormai alla terza generazione. Dopo anni di sacrifici e di lavoro, decide di comprarsi una vecchia casa nel villaggio in cui è nato, in Turchia. Convince faticosamente moglie, figli e nipoti ad accompagnarlo per sistemarla e rimetterla a nuovo. Inizia il loro viaggio, e come in tutti i film "on the road" che si rispettino, inizia anche il nostro. Il film è strutturo in due parti: il viaggio in Turchia, e l'appassionante racconto di Canan (Aylin Tezel), la nipote di Huseyin, che narra a Cenk, il più piccolo della famiglia, il modo bizzarro in cui il nonno e la nonna si sono messi insieme, e il loro successivo trasferimento in Almanya (Germania in turco). Il ritmo narrativo è scandito da un montaggio alternato che passa in maniera molto fluida da una parte all'altra della storia, dal passato al presente e dal presenta al passato, come se nulla fosse. La storia del giovane Huseyin che incontra Fatma (Lilay Huser) viene raccontata dalla regista Samdereli con delle trovate stilistiche uniche, che conferiscono al film grande dinamicità ed ironia. La sequenza delle rocambolesche situazioni in cui vengono a trovarsi inizialmente i due giovani appena emigrati dall'Anatolia, fanno ridere ma celano al loro interno una riflessione profonda: le grandi difficoltà che ogni emigrato deve affrontare per riuscire ad integrarsi. È facile dare la colpa agli emigrati per tutti i disagi legati al proprio Stato di appartenenza; invece di puntare continuamente il dito su di loro, dovremo "stendere" la mano e facilitargli questo "passaggio". L'integrazione è un processo che va necessariamente controllato e seguito dallo Stato, affinché la gente possa sentirsi sicura e protetta, e affinché tra il popolo e il "diverso", proveniente da altri paesi, si instauri un rapporto di fiducia. "Chiedevamo dei lavoratori e sono arrivate delle persone." (Max Frisch), è la frase che esemplifica il film.
Il secondo tema affrontato dalla pellicola è quello della famiglia. Attualmente i valori cardine di una società stanno venendo meno con una facilità e una velocità che colpiscono. La famiglia, è uno di questi. Ci sentiamo sempre meno spesso appartenenti a qualcosa (le nostre origini) o a qualcuno (i nostri familiari). Il viaggio che i personaggi affrontano nel film fa prendere loro coscienza sull'importanza dell'affetto familiare, della comprensione, e dell'unione che non dovrebbero mai mancare. La famiglia è un gruppo eterogeneo che al suo interno raccoglie persone con caratteri differenti e di età differente. Pretendere un rapporto perfetto fra tutti i componenti è alquanto ridicolo; a fare la differenza è il continuo dialogo, che porta al confronto.
Quello di Almanya - La mia famiglia va in Germania, è un viaggio che quando giunge al termine, lascia il segno: non si è mai più gli stessi uscendo da una sala cinematografica e questo perché il cinema ci cambia, senza saperlo.
(recensione di Federica Rinaldi)