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ACAB - ALL COPS ARE BASTARDS - RECENSIONE
ACAB - All cops are bastards recensione
Recensione

acab recensione
Negli anni Settanta lo avrebbero con molta probabilità bollato come reazionario, fascistoide e revanchista. Oggi, con la rivalutazione che il poliziottesco, genere imperante negli anni di Piombo, ha ottenuto, arriviamo a valutare un film come Acab (tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Bonini) con la giusta, crediamo, coscienza. Perché è giusto dirlo, Acab è a tutti gli effetti un film di genere. Girato in maniera superba, di grande impatto visivo e con uno stile asciutto, coadiuvato anche dalla fredda fotografia di Paolo Carnera. Stefano Sollima (conosciuto dal pubblico grazie al successo della serie di Romanzo criminale), attraverso l'educazione della "spina" Adriano (Daniele Diele), compie un viaggio all'interno del controverso "reparto mobile", di cui fanno parte Mazinga (Marco Giallini), Cobra (Pierfrancesco Favino) e Negro (Filippo Nigro). E lo fa pescando dall'attualità, scandendo il tempo del racconto con i più gravi episodi di violenza urbana accaduti in Italia negli ultimi anni (l'assassinio dell'ispettore Raciti prima, di Gabriele Sandri poi). Ma chi sono veramente i nostri protagonisti? Sono figli di una Roma proletaria (Adriano-Diele vive davanti alla Stazione Termini), radicata quasi fino al midollo nell'estrema destra; ognuno di loro si porta appresso un carico di sconfitte: sono dei perdenti. Sono degli emarginati sociali che trovano però la loro forma di riscatto nel senso di fratellanza che li accomuna all'interno del reparto. Come dichiarano gli sceneggiatori Petronio, Ceserano e Valenti (già autori della serie Romanzo Criminale): "i nostri personaggi non sono eroi […] sono poliziotti calati in una realtà complessa, disgregata, disperata, carica di tensioni. […] Non sono poliziotti comuni, non fanno indagini, ma sono sempre in prima fila a proteggere la sicurezza delle persone allo stadio, a sgombrare un campo rom o una casa occupata […] sono sempre in prima fila a prendere la botte e a volte a darle". Acab è un film estremamente attuale, che affonda le sue radici nella più cruda e violenta realtà italiana di oggi, mettendone in risalto le contraddizioni e le ansie. "Mi sono arruolato in polizia perché credevo che fosse un lavoro onesto", dirà uno schifato Diele a Favino. Alla fine, i "celerini" ne escono malconci. Omertà spacciata per fratellanza, abusi di potere, violenza e soprattutto odio. Ma l'odio che si respira nel reparto della Celere per tutti i 112 minuti, altro non è che l'odio che scorre nelle vene del nostro Belpaese, l'odio che è dentro ognuno di noi. Come negli anni Settanta, viviamo in un paese ostaggio della crisi economica, delle tensioni sociali, della criminalità comune (si fa riferimento al caso di Giovanna Reggiani, violentata e uccisa da un rumeno, alle gang di skinhead), pertanto vedere sul grande schermo le gesta di questi celerini, ha un qualcosa di liberatorio per lo spettatore. Acab registra la realtà, misura la temperatura dei nostri giorni, sempre più contaminati da un profondo astio verso tutti. Verso le istituzioni (il politico che in campagna elettorale fa promesse e poi non mantiene), verso le ingiustizie, verso la stessa violenza che muove gli ultras la domenica, verso chi non è italiano. Ma alla fine, Sollima evita di esprimere un giudizio preciso. Nel momento in cui vediamo gruppi di ultras pronti a mettere a ferro e fuoco Roma, a seguito delle azioni dei Nostri in un covo di skinhead, lascia a noi spettatori il compito di giudicare chi siano i buoni e chi i cattivi. (La recensione del film "ACAB - All Cops Are Bastards" è di Stefano Bucci)
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