La recensione del film Quattro Vite

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QUATTRO VITE- RECENSIONE

Quattro Vite recensione
Recensione

di Rita Ricucci
[Quattro Vite recensione] - Film in uscita il 27 agosto 2020, realizzato nel 2016 per la regia di Arnaud des Pallières e distribuito da Movie Inspired. Sono Quattro Vite che si intrecciano nei meandri della personalità di Renée: quella di quand'era Kiki, una piccola bambina di 6 anni che giocava, troppo libera, nella officina del padre, tra auto in demolizione e dove capiterà un tragico incidente; quand'era Karine, appena adolescente che salta la scuola per rincorrere facili successi amorosi, frequentando la movida notturna tra droghe e spaccio; quand'era Sandra, a 20 anni e si lasciava corrompere dalla facilità di far soldi, tra scommesse clandestine e rapporti rischiosi con malavitosi. E adesso è Renée, 27 anni, che ha creduto di potersi rifare una vita rinnegando le precedenti. Ma la vita di adesso, quella di direttrice di scuola l'ha comprata con i soldi "sporchi" e questo la giustizia, non lo archivia. Sono quattro nomi per le Quattro Vite della stessa donna, come ci suggeriscono il regista Arnaud des Pallières, e la co-sceneggiatrice Chritelle Berthevas in un'intervista "Abbiamo avuto molto presto l'intuizione di un nome diverso per ogni età di un personaggio che non smette mai di fuggire da ogni costrizione familiare e sociale, e inventa a ogni età un'identità all'altezza dei suoi desideri". Il film ci racconta Renée (la bravissima Adèle Haenel), nella sua contemporaneità mentre lavora in una scuola la cui utenza sono casi sociali, come il piccolo Hakim che non conosce padre ma solo la sorella, Fatima, che fatica a mangiare e anche a frequentare costantemente la scuola. E mentre Renée cerca di accogliere questa nuova sfida, il passato le si ripresenta nella bellissima figura di un'esperta "staffetta", la vecchia amica Tara, (Gemma Arterton) con la quale aveva escogitato il piano di rubare i soldi assegnatagli per poi dividerseli. E mentre Tara è libera dopo 7 anni di prigione, a entrarci, questa volta, è lei, Renée, Karine, come è registrata alla polizia. Nel silenzio fermo e distante dalla realtà della cella, Renée scopre il successo della fecondazione in vitro che per tre anni aveva tentato con il marito Darius (Jalil Lespert). Tra lo stupore e lo sbigottimento di quella novità, costretta nella sua cella, il passato riaffiora a poco a poco, in un ritorno di immagini a quand'era appena tredicenne, nella pelle di Karine (Solène Rigot). Anni facili da vivere se si è sicuri della bontà del proprio corpo: disponibile e spaurito, pronto a imitare il fascino della madre Nathalie e per finire a testimoniare un'adultità forzata, sia nei rapporti sessuali che nelle serate sballate in discoteca. Nella parte della ventenne Sandra, Adele Exarchopoulos,ci riporta alla memoria La Vita di Adèle (2013, Abdellatif Kechiche),. Con una sicurezza indiscussa attrarre lo spettatore nella finezza dei suoi sguardi e ci persuade nella sua capacità di stare a proprio agio nelle braccia dell'amica Tara piuttosto del ricco Lev (Robert Hunger-Bühler) che pur dicendole di volergli fare da padre accetta di essere spudoratamente sedotto. Ma, è quando Renée viene riportata in carcere dopo l'ultima ecografia che ricorda quando era stata Kiki (Vera Cuzytak) e aveva perso i suoi amici giocando a nascondino nel parking dell'autodemolizione. Anche lei priva dell'ingenuità da fanciulla, escogita sguardi che lasciano intuire fin dall'inizio il destino atteso, guardando la madre evanescente consumarsi sulla pista da ballo. Per ogni vita, un nome diverso come a dire che in ogni momento della vita si è una persona diversa. Ma la prigionia di Renée è la stessa della piccola Kiki che viene lasciata sola nei suoi giochi pericolosi; la stessa di Karine quando crede di poter accelerare la vita bruciando le tappe della sua adolescenza; la stessa di Sandra quando fa del suo corpo il suo stesso carnefice privandosi della sua giovinezza. È una vita quella che racconta il film, la vita di una donna Renée che è frutto delle scelte fatte senza darne giudizi di sorta, delle strade volute percorrere…pur senza volerlo. Renée è un solo nome per tutta la vita vissuta così come si è oggi, ciò che siamo stati: le nostre esperienza, i nostri successi e i nostri fallimenti. Perché questa è la ricchezza della vita di ciascuno. Orpheline, Orfana, è il titolo originale di Quattro Vite. Perché Kiki, Karine, Sandra e Renée sono orfane di quelle tappe dovute: l'infanzia, l'adolescenza e la giovinezza. Per questo anche la piccola creatura che Renée mette al mondo fuori dal paese, in libertà vigilata, rischia di essere orfana. «Ritornerò, te lo prometto. Ti amo», le dice Renée confusa, atterrita e addolorata mentre lascia Darius e la piccola e ritorna a scontare la fine della sua pena. Per essere libera dai fantasmi dei nomi che affollano la sua testa e poter essere la madre che si prenderà cura di sua figlia. In tutta la sua unica vita. (La recensione del film "Quattro Vite" è di Rita Ricucci)
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