La recensione del film P.O.E. - Poetry of Eerie

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P.O.E. - POETRY OF EERIE - RECENSIONE

P.O.E. - Poetry of Eerie recensione
Recensione

di Elisa Lorenzini
[P.O.E. - Poetry of Eerie recensione] - In nome di un grande artista, si tentano miracoli. Che i risultati, poi, premino l'impresa, è un altro discorso. L'artista in questione, Edgar Allan Poe, è già ispiratore di una tradizione iconico-letteraria che data dalla sua morte (1849) e che ha prodotto centinaia di epigoni, seguaci e scimmiottatori, alcuni pregevoli, altri meno. L'impresa, P.O.E - Poetry of Eerie, è un tentativo ardito di riassumere in ottanta minuti, tredici capitoli e dieci menti creative, il the best of del padre dell'horror contemporaneo. Il progetto di POE, concertato dai registi Domiziano Christopharo e Giovanni Pianigiani nel 2011 a Roma, con quella goliardia dichiarata che ambisce più al gruppo che all'arte, è, nella confezione finale, un puzzle di stili e di formae mentis, una congestione di idee sulle possibilità espressive dell'immaginario di Poe, un agglomerato di buone intenzioni che sdogana un ideale collettivistico da centro sociale/circolo Pickwick ma che, a livello formale, lascia un pò a desiderare. L'obiettivo di raccontare un artista variegato e sfuggente come Poe, affidandosi a tante voci differenti, era fallace in partenza: racconti come "Il gatto nero" e "Ligeia", diversissimi per ambientazione, carico emozionale e persino tecnica narrativa, ma scritti dalla stessa penna inquieta e visionaria, avrebbero potuto coabitare nello stesso inventario filmico se a concepirlo fosse stato un unico autore. Trattandosi di una reunion di giovani (e a volte acerbi) talenti del cinema italiano, POE manca l'obiettivo principe: la coesione. Se anche è piacevole sgusciare dalla cupezza irremovibile dei fratelli Capasso (Il silenzio) all'ironia sottile di Tagliavini (Valdemar), passando per la concettualità sofisticata di Manuela Sica (Il cuore rivelatore) e la dinamicità plastica della stop motion secondo Paolo Gaudio (Il gatto nero), si esce dalla sala con l'impressione di aver assistito a un esperimento di laboratorio liceale, più che a un'accorta, calcolata operazione di fusion cinematografica. I linguaggi cozzano l'uno contro l'altro senza cercare lembi di terra comune, le scelte dei modelli letterari e gli orientamenti stilistici divergono drasticamente, in quello che vorrebbe essere un disegno il più esaustivo possibile, ma che finisce per essere un patchwork di schizzi, alcuni palesemente incompiuti. Se l'intento era dare vita a un coro di riflessioni su una materia condivisa, il bersaglio è stato centrato. Se invece (com'è probabile) si voleva, oltre a una discreta scuderia, assemblare anche un prototipo di nuovo cinema antologico, vario nelle espressioni ma univoco nel risultato, la compagnia POE si è fermata a metà strada. (La recensione del film "P.O.E. - Poetry of Eerie" è di Elisa Lorenzini)
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