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IERI OGGI E...

PINOCCHIO di Walt Disney
di Francesca Lenzi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
"C'era una volta. - Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. No ragazzi, avete sbagliato: c'era una volta un pezzo di legno". Così iniziava, nel 1881, Collodi, "Le avventure" della più famosa marionetta che il mondo della Fantasia abbia mai avuto. Pinocchio viene considerata una delle favole più conosciute e apprezzate dai bambini di ogni generazione, affascinati non tanto dal forte aspetto pedagogico che permea il racconto, quanto dalle immaginifiche vicende che il Nostro è costretto ad affrontare. La Walt Disney, consapevole dell'eccezionale potenzialità del personaggio, realizza nel 1940 il proprio secondo lungometraggio, ispirato per l'appunto alla fiaba di Collodi. Complicatissimo dal punto di vista tecnico, attraverso la commistione di varie metodologie, inizialmente non riscontra il successo clamoroso che conquisterà solo in seguito, raggiungendo la grandiosa considerazione che ne afferma tuttora l'immortalità artistica. È più che corretto limitare l'influenza del romanzo alla mera suggestione, in quanto il film d'animazione mostra sì gran parte delle figure letterarie, modificandone però
spesso le caratteristiche, tralasciandone molte altre, introducendo nuovi ruoli, e cambiando radicalmente gran parte degli avvenimenti. Per coloro che hanno avuto l'accortezza di leggere il capolavoro dello scrittore fiorentino saranno chiare le differenze testuali, specchio di una precisa, distinta, intenzione: se il libro asseconda decisamente la struttura primordiale della "fiaba", con la presenza di personaggi ed eventi che osservano diligentemente il proposito didattico, al limite della brutalità narrativa, il film, per mezzo dello strumento di animazione, pur mantenendo l'obiettivo formativo, ne mitiga notevolmente la durezza, facendosi interprete di una libera e innocente fantasticheria. Se nel romanzo, Pinocchio è un burattino irriverente, maleducato e scansafatiche, nella pellicola manca questo elemento, prediligendo l'aspetto ingenuo e ignaro della marionetta. Se nel libro Pinocchio uccide senza tanti scrupoli il saggio Grillo Parlante, nell'opera della Disney, questi diventa e rimane per tutta la narrazione, il principale suggeritore del protagonista, la sua "Coscienza", appunto, anche se spesso inascoltata. Il Pesce-cane che ingoia Geppetto diviene una più rassicurante balena. Inoltre: Pinocchio nel film non finisce in galera, non si trasforma del tutto in somaro, non assiste alla morte di Lucignolo, non subisce la meschina spietatezza del Gatto e della Volpe, nel racconto scellerati mascalzoni che non esitano ad impiccare il burattino per derubarlo, mentre nell'animazione, pur conservando il profilo birbante, si preferisce moderare i toni, favorendone il divertente banditismo, privo di eccessivo e insensibile malanimo. È evidente come la Disney abbia colto dal libro gli elementi più pertinenti nella prospettiva di una favola pedagogica, tuttavia fortemente rassicurante, destinata a un pubblico infantile che ne apprezzi soprattutto le genialità creative e l'intima percezione emotiva. L'inserimento di due personaggi come il gatto Figaro e il pesciolino Cleo, piuttosto che l'eliminazione del mastino Alidoro, assieme al rigoroso mantenimento del ruolo negativo di Mangiafuoco, come la salvaguardia della veste positiva e materna della Fata, concorrono a stabilire un contesto più definito e chiaro possibile per i piccoli spettatori, preservati dalla probabile ambiguità del romanzo, maggiormente portato a esprimere una seria e feroce denuncia sociale, attraverso personaggi dalla dubbia natura, e vicende, specchio di un'ingiustizia radicata nel tempo. Il cartone animato del 1940 si libera della funzione accusatoria, rappresentando il semplice e miracoloso congegno atto a conoscere la Fantasia e godere dell'Illusione, ammirando le meraviglie espressive dell'animazione, incoraggiando l'aspetto empatico del pubblico con l'eroe, la cui bontà d'animo non viene mai scalfita dall'umanissima - e certo più realistica - ma imperfetta, messa in discussione dell'etica e del comportamento. Il film della Disney si svincola da obiettivi troppo severi, puntando felicemente sul sentimento e sulla sfera affettiva, appagando il bisogno di immaginazione sia del bambino che dell'adulto, in linea con la visione del sogno che si identifica con l'urgenza di trasferire il proprio "io" in un ruolo fantastico, riflesso dei nostri difetti, ma inevitabilmente messo in salvo dalla disposizione irreale della fiaba. Pinocchio non è più l'immagine equivoca della fallibilità umana, bensì il simbolo incontestabile dell'espiazione, garantita dall'ambito magico, occasione chimerica di un'opera che non sospenderà mai la propria efficacia, né la lucentezza che ne alimenta lo splendore del capolavoro senza tempo. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.


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