La recensione del film Passengers

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PASSENGERS - RECENSIONE

Passengers recensione
Recensione

di Elisa Torsiello
[Passengers recensione] - L'uomo è un animale sociale. Deve circondarsi dei suoi simili per conoscere se stesso; ha bisogno della compagnia di altri esseri umani per completarsi, ridere, scherzare e sentirsi semplicemente vivo. I cinquemila passeggeri in orbita verso Homestead II sono tanti piccoli esseri viventi pronti per rinascere ed iniziare una nuova vita lontano, su un pianeta vergine, da scoprire, proprio come la loro nuova vita. Cosa accade se una delle loro navicelle, quei piccoli grembi materni in fibra tecnologica, per un errore tecnico si apre prima del tempo, destinando uno di loro, tale Jim Preston (Chris Pratt) a una vita solitaria, disperso nell'immenso orizzonte dell'universo? Passengers non è il primo, e nemmeno sarà l'ultimo, a trattare un argomento del genere, ovvero quello dell'esistenza dell'uomo posto in una situazione di totale isolamento. Lo aveva anticipato Daniel Defoe con Robinson Crusoe, poi ripreso Ron Howard con Cast Away e, piano piano, la solitudine dell'uomo come nuovo numero primo, si è spando nell'universo galattico, prima con Gravity, poi con Martian. Inizialmente si ha la sensazione che sia proprio da Robinson Crusoe che Passengers tragga la propria linfa vitale. Il suo protagonista si aggira disperato tra i corridoi dell'astronave nella speranza vana di incrociare un proprio simile, così sfortunato come lui da ritrovarsi sveglio, nel bel mezzo del proprio viaggio intergalattico. I giorni passano, la barba si allunga, il corpo sembra lasciar spazio alla pazzia; intanto gli altri cinquemila passeggeri dormono sereni, nell'attesa di giungere a destinazione. … vaga come un sopravvissuto ad una tempesta. Parla e si confida con il barista robot Arthur (un eccellente Michael Sheen, forse l'unico elemento che vale davvero il prezzo del biglietto) come Tom Hanks si confidava con il pallone Wilson in Cast Away. Ma Jim ha bisogno di qualcosa di più. Un qualcosa che lo spinga ad andare, lo motivi ad aprire gli occhi dinnanzi ad una nuova alba (seppur raffigurata su uno schermo a plasma), a giocare a pallone, a mangiare; insomma a vivere. Quel qualcosa si chiama Aurora. Chiarissimo riferimento alla bella addormentata del classico Disney, è l'introduzione del personaggio interpretato da Jennifer Lawrence a dare il via al collasso più totale del film. Se fino a quel momento era interessante seguire il percorso psicologico, più che fisico o emotivo, del personaggio di Pratt, dal momento in cui Aurora pone il suo piede al di fuori della sua navicella l'opera inizia ad abbracciare il più smielato canone romantico, affiancandosi ad una lotta per la sopravvivenza che rende il tutto alquanto ridicolo e pieno di cliché. Più che un'opera originale, lo spettatore sembra trovarsi dinnanzi a una sorta di Titanic nello spazio, in cui i due innamorati litigano, si avvicinano, si amano per poi andare incontro a una serie di eventi più grandi di loro pronti a separarli per sempre. Insomma il regista Morten Tyldum non apporta nulla di nuovo a quanto già visto in passato. Imbarazzante la citazione del classico di James Cameron, con quel "ti fidi di me" posto in sceneggiatura senza alcun motivo, se non per ricercare un progenitore del survivor movie abbellito da storie d'amore nate per volere del caso, a cui lo spettatore si aggrappa disperatamente per trovare un qualcosa di qualitativamente accettabile. Ma come il transatlantico più famoso al mondo, anche l'astronave di Passengers piano piano affonda nell'oceano fatto a universo, trascinando con sé l'intera pellicola. Lo stesso Morten Tyldum non fa altro che riproporre inquadrature e scelte di regia già offerteci con il precedente The Imitation Game. Una sequela di primi piani pronti a unire prima cinematograficamente, poi sentimentalmente, i due protagonisti; un'alternanza di sequenze dense di adrenalina, con quelle traboccanti di miele e amore; pause narrative, come inframezzi musicali, dove vediamo Aurora nuotare o avvinghiarsi appassionatamente a Jim che a livello narrativo potevano benissimo essere risparmiate. A niente sono servite le ottime prove attoriale di tutti e tre gli interpreti; per quanto ci abbiano provato, le loro espressioni mimiche e l'immedesimazione totale con i propri personaggi, non si sono trasformati in ancore di salvezza di un film che trabocca acqua da tutte le parti. Poteva essere una boccata di aria fresca questo Passengers; si è rivelato invece un tornado che ha colpito in pieno un prodotto destinato ad implodere, sfacendosi in mille pezzi. (La recensione del film "Passengers" è di Elisa Torsiello)
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