La recensione del film Parasite

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PARASITE - RECENSIONE

Parasite recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[Parasite recensione] - In un misero appartamento sotto il livello stradale, praticamente una cantina, vive una famiglia, padre, madre e due figli ormai adulti che per sbarcare il lunario si adattano a fare qualsiasi lavoro. Ki-woo e sua sorella Ki-jung, non hanno potuto proseguire gli studi perché la famiglia è caduta in rovina per investimenti sbagliati del padre, Ki-taek. Un bel giorno a Ki-woo si presenta un'allettante occasione. Un suo amico benestante gli chiede il favore di occuparsi, in sua assenza, di una sua allieva cui normalmente fa lezione d'inglese. Ki-woo accetta ed una volta recatosi nella lussuosa casa della famiglia della ragazza, si rende conto che esistono famiglie che vivono in un lusso spregiudicato, con servitù e valori umani discutibili. Non ci mette molto Ki-woo a cambiare le sorti della sua di famiglia. Uno alla volta prendono servizio in quella reggia dorata il padre come autista, la sorella come insegnate d'arte del piccolo della famiglia e la madre come governante, dopo aver tramato ben bene per far licenziare i preesistenti domestici, persone di basso livello sociale come loro. "Parasite", Palma d'oro a Cannes, diretto dal coreano Bong Joon Ho, autore di "Okia", racconto fantastico sul capitalismo che non ha riscosso sufficiente successo, si struttura su uno schematismo di genere tra commedia, tragedia e horror, raggiungendo una ragguardevole unità espressiva. La regia scommette tutto sugli accadimenti, su improvvise fortunate e sfortunate circostanze senza un vero piano d'azione delle persone coinvolte. L'azione e le relazioni che derivano dalle circostanze che si vengono a creare sconvolgono per la sorprendente autenticità mostrata dai contendenti, situazioni gestite con spregiudicatezza e ferocia. Bong Joon Ho, mette in scena un film dal sapore politico, in cui la lotta di classe è protagonista. Una lotta fatta dapprima di ossequi e di sorrisi, ma che cambia maschera e si veste di cattiveria e crudeltà, diventa sanguinaria, persino tra gli stessi poveri, che hanno perennemente un odore che li distingue, quello della povertà, come sostiene il padre-marito della famiglia ricca, un odore che invade anche i vagoni della metropolitana. Non esiste benevolenza e compassione, anche tra gli stessi poveri, esiste il vecchio detto: "mors tua, vita mea". E' il capitalismo che viene messo alla sbarra, responsabile di una società amorale, in cui le differenze di classe sono sempre più divise da un valico incolmabile. Il valico, il regista coreano lo rappresenta con le due case, una con l'unica finestra incassata sotto strada che guarda in un vicolo e l'altra che filtra attraverso un'enorme vetrata l'immensità di un giardino, spazio della gente ricca e teatro di uno scontro all'ultimo sangue. La fotografia di Kyung-Pyo Hong, fluida e pregnante di una soggettiva originale, rende l'immagine del nostro tempo attraverso le maschere fantastiche dei personaggi ingoiati in una lotta tra loro stessi, ladri di benessere, in cui il denaro è un ferro da stiro che elimina tutte le pieghe e per i quali essere persone socialmente perbene porta solo alla fame. La metafora di "Parasite", raccontata con una poetica che si distingue, è questa. Ma il cineasta salva il nucleo domestico, padre, madre e figli, nonché quel marito e quella moglie che custodiscono da anni il segreto nel bunker sconosciuto della casa. L'esaltazione violenta e forsennata dell'eliminazione di tutto ciò che può rappresentare il capitalismo in "Parasite" ha il colore surreale del sangue e della morte e la scena finale in tutta la sua truculenza viene esaltata da un improvvisa "In ginocchio da te" cantata da Gianni Morandi. Ma si sa, Bong Joon Ho, ama questo genere di linguaggio cinematografico, talmente efficace che alla fine la salvezza la affida solo alla classe benestante. (La recensione del film "Parasite" è di Rosalinda Gaudiano)
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