di R. Gaudiano
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Pane dal cielo recensione] - Una popolazione non tanto invisibile, i senza fissa dimora, persone ai margini della società, persone che occupano spazi pubblici, persone che mangiano alla mensa dei poveri, persone che si lavano molto di rado, mal considerate, evitate, eppure persone invisibili. Nella Milano metropolitana, afflitta da una nebbia fisiologica, Giovanni Bedeschi realizza "Pane dal cielo", un film essenziale, una ricerca di fede nell'umanità caratterizzata da diversi ceti sociali e soprattutto in un'umanità disperata che anche nella povertà cerca una ragione della propria esistenza. Lilli (Donatella Bartoli) e Annibale (Sergio Leone) sono due senza tetto che vivono nei pressi della stazione di Milano, all'ombra del grattacielo Pirelli. Una sera fredda e umida sentono il pianto di un bambino proveniente da un cassonetto dell'immondizia. Il bimbo per i due vagabondi è una specie di visione, come l'annuncio di qualcosa di miracoloso. Lilli prende il bimbo fra le braccia ed insieme ad Annibale decidono di portarlo al più vicino ospedale. Ma lì, al pronto soccorso dell'ospedale nessuno vede il bimbo che Lilli stringe tra le braccia avvolto in una coperta. Da un'idea di Sergio Rodriguez, del quale è anche il soggetto del film, con la sceneggiatura di Franco Di Pietro, Giovanni Bedeschi mette in scena sul grande schermo una storia di sofferenze e privazioni, supportate da un'incondizionata speranza nella fede nella vita. Il bambino rappresenta la concretezza dell'amore umano, che si materializza a chi crede nella giustezza di comportamenti edificanti e gioisce al suo sorriso, alla sua benevola grazia. Così è per Lilli, che si ricrede per un suo atto inconsulto verso Ada (Paola Pitagora), signora di ceto alto, a cui ha rubato la borsa. Ed anche per Annibale che dopo anni decide di cercare sua figlia per dare spiegazioni sulle scelte della sua esistenza di vagabondo. Un via vai di gente, di etnie diverse, di colore della pelle diverso, di volti diversi corrono a vedere il bambino che li aspetta sorridente in un edificio fatiscente, abbandonato da anni, dimora ormai di molti senza tetto della metropoli milanese. C'è chi lo vede questo bambino e chi invece vede il nulla assoluto. "Pane dal cielo" tutto sommato, tra domande senza possibili risposte che tutti si pongono difronte alla vista del bambino ed al perché è piombato tra la gente in quel modo, riesce a cogliere il senso dell'esistenza, a volte ingrata, brutta, cattiva, malvagia, ma che quando è affiancata dalla fede nella positività della vita può essere il trampolino di lancio di un cambiamento in meglio. Anche se l'opera soffre non poco per una mancata coesione del senso narrativo, la recitazione e la fotografia di Giancarlo Lodi meritano un dovuto elogio.
(La recensione del film "
Pane dal cielo" è di
Rosalinda Gaudiano)
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