di R. Gaudiano
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Omicidio al Cairo recensione] - Una storia vera, l'omicidio della famosa cantante libanese Suzanne Tamin avvenuto nel 2008 che vide coinvolto come colpevole un parlamentare egiziano, è l'origine, per Tarik Saleh, dell'idea della stesura e realizzazione di "Omicidio al Cairo". Egitto 2011, alcune settimane prima della rivoluzione, Noredin (Fares Fares) è un ufficiale di polizia che non disdegna le mazzette sottobanco. Abita in un appartamento quasi fatiscente e nasconde nel suo freezer i soldi provenienti dall'ormai ingovernabile sistema di corruzione che dilaga nel paese. Noredin percorre le strade affollate del Cairo con l'auto d'ordinanza guidata dal suo collega Momo. I due fanno sempre il solito giro e come sempre sono sopraffatti dalle lamentele dai mercanti di strada, che elargiscono al poliziotto sostanziose offerte di denaro in cambio di protezione. Si tratta di un vero e proprio racket di corruzione. Intanto piazza Tahrir è piena di enormi manifesti di cantanti, star del cinema tra i quali spicca, grandissimo, quello del presidente Hosni Mubarak. In quella piazza si erge, come un monumento, la struttura colossale dell'hotel Nile Hilton. Salwa, 19anni, sudanese, senza documenti, lavora in quell'hotel come donna delle pulizie. Una mattina, molto presto, durante il suo turno, Saiwa sente voci concitate, di un uomo ed una donna che litigano, che provengono da una delle stanze. Un uomo esce dalla stanza ed incrocia lo sguardo della ragazza che si blocca alla sua vista. La donna nella stanza è una cantante, Lalena, che verrà trovata di lì a poco con la gola tagliata. Noredin arriva sul luogo del delitto e tutto fa pensare che Hatem Shafiq, famoso e potente uomo d'affari molto intimo del presidente, sia direttamente coinvolto nel fatto di sangue. Il regista Tarik Saleh nato a Stoccolma, ma di origini egiziane, mette in scena il Cairo, filtrandolo attraverso un sistema organizzativo intriso di una corruzione che ammanta ogni organismo di controllo statuale che dovrebbe garantire la sicurezza sociale e civile. Il Noredin del film, dall'intreccio essenziale ma in realtà complesso, è la guida che conduce lo spettatore come un turista in un tour per le strade del Cairo. Mangia in fretta cibo locale, incontra gente, sa come porgere il suo saluto ad ogni tipo di persone di differente status sociale, sa capire l'intrigo ed accettare, in silenzio, la complicità, sa intascare denaro sporco sfruttando, nelle singole circostanze, la fascinazione del suo potere di poliziotto. Lo sguardo del cineasta è lucido e realista sul come accadono le cose, sul come la vita della gente abbia un valore infimo di fronte ad interessi sommersi di un potere delinquenziale che ha abolito ogni forma di lecito e pone in primo piano luttuosi interessi. E' una corruzione profonda, radicata, con cui la gente comune del Cairo deve fare i conti ogni giorno che Allah comanda. E la Primavera Araba, del 25 gennaio 2011, non fu altro che la rivoluzione contro la polizia e quella devastante corruzione. Film coraggioso, "Omicidio al Cairo" si avvale di una sceneggiatura solida, una fotografia resa suggestiva dalle luci dai colori attenuati ed una caratterizzazione dei personaggi eccellente, un mix di elementi che con immagini, suoni, rumori, musica costituiscono quella pluralità di codici essenziale allo spettatore per interpretare il messaggio corretto e spiazzante di Tarik Saleh. Il film ha vinto il World Cinema Grand Jury Prize al Sundance 2017 ed è nominato per il Miglior Film Straniero ai prossimi Cesar.
(La recensione del film "
Omicidio al Cairo" è di
Rosalinda Gaudiano)
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