di E. Lorenzini
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Oculus recensione] - La storia, esile e ortodossa, è quella dei fratelli Tim e Kaylie Russell, la cui infanzia è stata segnata dalla morte violenta dei genitori. Accusato dell'omicidio, Tim sconta dieci anni in un istituto psichiatrico, mentre Kaylie indaga attorno a un misterioso specchio presente nella vecchia casa di famiglia, che a suo dire conterrebbe una presenza maligna responsabile del delitto. Il cerebrale Tim, la cui debolezza lo porta a credersi colpevole, si scontra quindi con l'intuito volitivo della sorella, caparbiamente decisa a rintracciare il manufatto, ricollocarlo nell'epicentro del disastro e sconfiggerne l'oscuro ospite. Da qui in poi, lo svolgimento della trama ricalca senza scossoni il clichè dell'escalation orrifica popolata di inquietudini, allucinazioni e virate sempre più decise nel torbido. Con la differenza che Oculus non abbonda in trovate sceniche, non veste la paura dei suoi soliti ammennicoli: gioca anzi per sottrazione, focalizzando lo specchio vuoto come antro silenzioso, stagliando i protagonisti su sfondi cupi in cui riecheggiano le loro paure, alternando in modo magistrale i due piani temporali del flashback e del presente, in modo da creare una straniante sovrapposizione di verità senza mai rivelarla del tutto.
Tra i tanti meriti tecnici, Oculus ha anche quello di aver reso godibile l'horror a chi ha sempre navigato a vista dal genere. Pensato come una canonica esplorazione della propria metà oscura, quindi come parafrasi di uno dei temi caldi della narrativa horror di tutti i tempi, Oculus spicca nel carnaio di pellicole splatter e approssimative fiorite nel recinto della paura cinematografica per due ragioni: l'elevatissima qualità del montaggio e il carattere anomalo della sua protagonista femminile. Pochi i momenti shock, sporadiche e ben dosate le apparizioni sovrannaturali, occasionale e quindi più dirompente l'uso del sangue: il profilo di Oculus è quello di un raffinato thriller psicologico, con una seconda parte che flirta più apertamente con il supernatural senza lasciarsi prevaricare da esso. Investita di un ruolo singolarmente attivo, che esula dal prototipo della giovane soggiogata dal maligno, il personaggio di Kylie è il vero motore del film, il traino per la sua distinzione nel panorama monocorde dell'horror da manuale. Peccato che la sua interazione con il carattere del fratello, a lei complementare, non sia stata approfondita, a vantaggio di una cura maggiore delle atmosfere e degli umori. Sarebbe stato interessante affiancare all'impeccabilità tecnica della struttura un elemento psicanalitico più dettagliato, che esplorasse magari la labilità della dignità umana di fronte all'orrore di tragedie conclamate. Tuttavia, anche senza questa aggiunta, Oculus rimane un piccolo gioiello di nicchia, da guardare, se non con il gusto dell'appassionato, almeno con la curiosità del cinefilo.
(La recensione del film "
Oculus" è di
Elisa Lorenzini)
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