La recensione del film Non si ruba a casa dei ladri

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NON SI RUBA A CASA DEI LADRI - RECENSIONE

Non si ruba a casa dei ladri recensione
Recensione

di R. Baldassarre
[Non si ruba a casa dei ladri recensione] - Il cinema dei Vanzina Brothers si conferma di nuovo alleniano, ma semplicemente con riferimento ai loro ritmi produttivi: una pellicola (o due) l'anno. Non si ruba a casa dei ladri è la sessantaquattresima opera del duo romano, ed è nuovamente una commedia. Carlo ed Enrico Vanzina, nella loro quarantennale carriera sono, volenti o nolenti, una consolidata istituzione del cinema italiano, e sono gli ultimi baluardi – e sinceri balordi – della commedia all'italiana, di quella artigianale. Nella loro vasta filmografia, punteggiata anche da qualche thrillerazzo, è proprio la commedia a predominare e a essergli congeniale. Declinata in diverse forme di racconto, da quello nostalgico (Sapore di mare) a quello "On the Road" (Sognando la California); oppure da quello corale (Vacanze di Natale) a quello episodico (Le barzellette), passando per quello che si potrebbe definire "istant movie" (Yuppies – I giovani di successo), l'intento della loro "forma commedia" è sempre quello di far ridere tanto, ma anche di fotografare la realtà che mettono in scena. Proprio nel formato "Istant Movie" si potrebbe inserire Non si ruba a casa dei ladri che, di sguincio, affronta e sbeffeggia Mafia capitale e i suoi variopinti personaggi. Tale racconto, di truffe e di truffati, di un'Italia in sfacelo e d'improvvisati ladri, completa un ideale trittico formato dai precedenti I mitici – Colpo gobbo a Milano e In questo mondo di ladri. Come nelle commedie appena citate, anche Non si ruba in casa dei ladri è un diretto omaggio (o plagio mal riuscito) di un classico del cinema italiano del passato. In questo caso di In nome del popolo italiano di Dino Risi del 1971, commedia ferina che anticipava di vent'anni Tangentopoli. Il personaggio di Simone Santoro, interpretato da Massimo Ghini, più di una volta "ripete" scene come quelle di Lorenzo Santenocito, che era magnificamente interpretato da Vittorio Gassman. Le scene alla festa in stile antica Roma, oppure quelle sulla spiaggia assieme ad Antonio Russo (Vincenzo Salemme), sono chiari – e allo stesso tempo pallidi – esempi di quest'omaggio/plagio. Rispetto agli illustri autori del passato, i Vanzina non riescono ad "azzannare" il discorso, e le supposte stoccate a quel mondo corrotto, sono descritte in modo blando, ravvisabili già in una fotografia sgargiante, pronta a illuminare i prossimi passaggi televisivi. Le giuste sferzate sono ravvisabili, ad esempio, nel convitto dei volgari arricchiti in casa Santoro, che dimostrano come i Vanzina ancora riescono a dipingere bene, e con perfetti toni da commedia, certa società italiana. Oppure si ride o ridacchia per qualche battutaccia en passant, ma più per merito della simpatia del variegato parterre d'attori. Il resto della commedia è solo una conferma del declino della ditta Vanzina. Sono passati, purtroppo, da un cinema medio (seppur coprolalico) a un cinema mediocre tout court. Il loro è un cinema coatto, con riferimento non tanto alla declinazione gergale di rozzo (seppure la romanità e la comicità grassa di tale dialetto sia sempre presente), ma direttamente dalla derivazione latina, cioè di costretto. È un cinema in cui, per seguire il successo, sono "forzati" a ripetersi, raccogliendo e rimpastando loro vecchi moduli. Persino Maurizio Mattioli, attore feticcio del cinema dei Vanzina, e garanzia di una sana grassa risata, questa volta fa – quasi – cilecca. Noto per le sue spacconerie in romanesco, in questo caso viene "freddato", lasciandogli solo due brevi voli pindarici di sapore belliano. (La recensione del film "Non si ruba a casa dei ladri" è di Roberto Baldassarre)
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